Molti anni fa (1983), si poteva visitare a Londra una mostra che aveva per titolo The genius of Venice 1500 – 1600. Il catalogo è ancora disponibile nelle librerie e in rete. L’effetto sorprendente non era tanto la conferma del valore grandissimo di capolavori dipinti da un Tiziano, da un Tintoretto, da un Lotto, si restava esterrefatti, certo, dalla somma bellezza dei loro dipinti, ma colpiva ancora di più l’immaginazione del visitatore il livello altissimo di fattura di tutte le opere esposte, la grande professionalità, e originalità perfino, delle botteghe, anche di quelle meno note al grande pubblico, e sbalordiva la ricchezza di idee pittoriche manifestata da ogni tela, anche di pittori considerati, a torto o a ragione, minori. In musica, un secolo dopo, accade, in Italia, e di conseguenza, anche questa volta, in Europa, qualcosa di simile: se ci si confronta, infatti, con la musica del cosiddetto periodo galante – grosso modo dagli ’20 agli anni ’80 del XVIII secolo – c’è una musica che alle intricate maglie del contrappunto sembra voler opporre una musica che preferisca l’effusione melodica, l’intonazione di temi riconoscibili, semplici, la scansione di ritmi fondamentali, poco complicati, la percezione di armonie sicure, bene squadrate. È naturalmente una percezione illusoria, e l’intenzione dei compositori, spesso, non è così programmatica, spesso hanno il piede in due staffe, ma è vero che il profilo melodico di un soggetto, o, meglio, di un tema, come si preferisce dire, si fa più chiaramente percepibile, memorizzabile. Diventa, anzi, il carattere distintivo di ciò che da allora consideriamo un tema, anche se non per tutti i compositori la ricerca della semplicità è l’unico manifesto. I figli di Johann Sebastian Bach, e Telemann, per esempio, sotto la traccia del nuovo stile non nascondono la sapienza del vecchio, e la maestria del contrappunto. Nasce, questa musica, dal trionfo del melodramma italiano, sia serio sia buffo, nei teatri di tutta Europa. Famosa fu comunque, in Francia, la polemica che ne nacque. dopo una rappresentazione della Serva padrona di Pergolesi. Un’eco musicale della querelle des anciens e des modernes sorta in ambito letterario circa mezzo secolo prima. La battaglia che i philosophes, scatenati da Rousseau, intrapresero in difesa della musica italiana in contrapposizione alle astrusità contrappuntistiche e armoniche della musica francese e tedesca, voleva essere una battaglia per la nuova musica in contrapposizione di quella vecchia, e superata: una difesa della clarté contro l’oscurità delle contorsioni barocche, come in poesia l’Arcadia si contrapponeva alle lambiccate metafore dei poeti barocchi. Si apriva la strada che avrebbe condotto poesia, arte e musica al neoclassicismo. Era, tuttavia, anche questa, per molti versi, una battaglia contro i mulini a vento. L’armonia impostata da Rameau resta, almeno per l’intero secolo, il fondamento della scrittura armonica, e il contrappunto cacciato dalla porta, rientrava sotto forma di musica concertante, e nella pratica della musica da camera. Il “concerto” tra gli strumenti, anche in piccole formazioni, quartetti, trii (che sostituivano la sonata a tre, e non vanno confusi con essa), duetti, introduceva complicazioni diverse, ma pur sempre complicazioni. La “nuova musica”, insomma, era in realtà complicata quanto la vecchia. Ma di un altro tipo di complicazione. Lo spiega assai bene Robert O. Gjerdingen in La Musica nello Stile Galante (Roma, Astrolabio, 2017 – originale inglese, Music in the Galant Style, Oxford University Press, 2007). Una novità, però, c’era: ed è quella di rendere percepibile all’ascolto la costruzione musicale, incentrata sul susseguirsi o scontrarsi o combinarsi di temi chiaramente definiti. Ed è la chiarezza di questa definizione a caratterizzarla. Nemmeno un Beethoven se ne discosterà. Ma la sua novità sarà piuttosto di rielaborare, con una consapevole riacquisizione del contrappunto, la dialettica dei temi, anzi la costruzione stessa del tema, immaginato come emanazione di un piccola cellula generatrice sia essa ritmica o melodica. Che è solo un’esasperazione di un sistema della musica galante: combinare insieme moduli prefigurati di cellule ritmiche e armoniche. C’era addirittura l’aiuto di repertori in cui si fissavano i modelli più frequenti. Ciò spiega la frequente somiglianza d’invenzione tematica tra i compositori. L’originalità melodica non era né un pregio né un intento, come pretenderà esserlo, senza riuscirci, per i romantici. Ciò che invece interessa i compositori è l’architettura del brano, l’elaborazione degli spunti melodici e ritmici, e in questa cercano, sì, l’originalità. Su questa musica getta ora uno sguardo stimolante una nuova incisione della sigla discografica Arcana: Galant Night Fever. Quartets, Trio and Duet for flute, strings and basso”. The WIG Society. Chamber Music Ensemble: Matteo Gemolo 4-keyed flute; Conor Gricmanis, violin: Biana Prieto Acera, violin & viola: Elias Bartholomeus, double bass; Lisa Kokwenda Schweiger, harpsichord. World Premiere Recording. 2024. 19 €.
Febbre di una notte galante. La varietà di questa febbre è sbalorditiva. E anche la disinvoltura con cui la musica può cambiare pelle. Il quartetto di Haydn, per flauto, violino, viola e “basso” – op. 5. n.2, Hob. II G 4 – è in realtà una trascrizione, non si sa di chi, da un divertimento: semplicemente divino il cantabile, intimo adagio. Lo scambio tra violino e flauto era una pratica diffusa. Le pagine sono, comunque una più gradevole dell’altra. E qualcuna davvero febbrile, come il Quartetto in sol minore op. 4 n. 6 di Ernst Eichner, flauto, violino, viola e basso, di soli due tempi, articolato il primo, indiavolato il secondo, che è una gavotta. Di due tempi è anche il Quartetto in si bemolle maggiore op. 2a n. 5di Hans Hinrich Zielche. E così pure il Trio in la maggiore op, 5 n. 3 di Johann Franz Xaver Sterkel, Dolcissimo, imprevedibile, godibilissimo, soprattutto nell’ultimo tempo di un tema con variazioni, il Duetto in re maggiore op. 18 n. 1 del boemo Vaclav Pichl. Chiude la rassegna il bellissimo Quartetto in mi minore op. 10 n. 6 di Joseph Schmitt, di fremente clima Sturm und Drang. Ma, al di là del singolo valore di ogni composizione, ciò che si crede afferrare è il campo comune di azione dei musicisti. Una lezione di come vada affrontata l’esecuzione di questa musica. L’incisione che ci regala il Chamber Music Ensamble della WIG Society è quasi un atto di conoscenza, la rivelazione del senso della musica galante, che non è un semplice diletto, ma qualcosa di più complesso, di più profondo: a cominciare dalla nitidezza con cui si evidenzia il timbro di ciascuno strumento e dalla calda intimità con cui sono intonate le melodie, si percepisce che l’individualità di ogni strumento collabora a un’intesa comune: quella di assecondare il fluido svolgersi e combinarsi dei temi. Sembrerebbe una qualità obbligatoria per ogni gruppo musicale. Ma qui è piegata, con grande intelligenza e delicata sensibilità, a manifestare con evidenza , quasi con didascalica intenzione, come si costruisca via via la forma musicale. Flessibilità di fraseggio e varietà ritmica fanno il resto. La particolarità più interessante dell’incisione sta nella realizzazione del basso. Che non è affidata al violoncello, ma a un clavicembalo e a un contrabbasso. La scelta è dovuta al fatto che in partitura si trova scritto non già “violoncello”, ma “basso”, talora perfino nel titolo. E ci sono anche le cifre del basso numerato. Il risultato è che la musica acquista una vitalità nuova, un senso timbrico più variegato. E comunica benissimo il senso di una musica di passaggio tra la sonata a tre o a quattro barocca e il classicismo viennese. Il genere che meglio caratterizza questo tipo di musica è il divertimento. E, come si è scritto sopra, il quartetto di Haydn eseguito in questa registrazione è in realtà una trascrizione da un divertimento. Una musica, questa, in ogni caso, che sollecita emozioni appropriate ad ogni particolare invenzione, anche l’uso molto particolare del “basso”, che non è tanto un ricordo della sonata a tre quanto un applicare anche alla musica da camera un’idea concertante della musica strumentale. Il manuale degli affetti trova finalmente applicazione nella caratterizzazione dei temi, a ciascuno il suo alone espressivo. Una musica, questa, che sollecita emozioni appropriate ad ogni particolare invenzione. Il manuale degli affetti trova applicazione nella caratterizzazione dei temi, a ciascuno il suo alone espressivo. Sembra quasi un miracolo come gli strumenti, in questa incisione, tutti, senza distinzione, cantino, non restino inerti per un solo istante, ma ci avvolgano sempre con melodia suadenti, con armonie seducenti, esaltando momento per momento il timbro particolare di ciascuno strumento, ma non per gusto del particolare accattivante, bensì a mettere in risalto la funzione strutturale ed espressiva del momento: l’accordo, l’intesa tra i cinque musicisti è perfetto. Era del resto una musica che chiedeva all’ascoltatore di lasciarsi catturare proprio da questo susseguirsi di emozioni diverse che trovano la propria forma musicale in un tema, in un dialogo strumentale, nel carattere di un brano. E si badi: non è una musica che chiede un ascolto passivo, l’abbandono alla sensazione del momento, perché anzi rifugge da qualsiasi idea di musica che sia solo epidermico diletto d’ascolto. Questa musica chiede la collaborazione dell’ascoltatore – che spesso era anche lui musicista o solo “dilettante”, ma dilettante in un senso assi diverso da ciò che intendiamo oggi, dilettante invece nel senso che trova diletto ad ascoltare confermate dalla musica che sta ascoltando – o leggendo – le proprie competenze in materia di costruzione musicale, di corrispondenza tra musica e affetto. L’idea di un pubblico passivo non appartiene al Settecento, che pretende anzi dal pubblico attenzione e competenza. Il pubblico delle corti e di salotti settecenteschi, ai quali questa musica era destinata, era un pubblico che conosceva la musica, suonava uno strumento, sapeva cantare. la musica faceva parte dell’educazione di una persona colta, era anzi ritenuta indispensabile. La sorella di Goethe, che nella sua casa di Francoforte teneva salotto, visitato dai principali esponenti dello Sturm und Drang, e discutevano di letteratura, di arte e di musica, parlavano più lingue, compreso l’italiano, Cornelia Goethe suonava lo strumento che avrebbe soppiantato il clavicembalo, il pianoforte, e cantava. Noi viviamo in un’epoca di incompetenti onnivori e consumisti e non immaginiamo, quindi, che cosa fosse una società in cui la competenza era il primo requisito richiesto per essere ammessi in un salotto, a corte, in società. Una società di privilegiati, dunque? un’élite snob che storce il naso alla massa d’ignoranti che sono il resto della società? In un certo senso, sì. Ma non per snobismo. Né per disprezzo. Ma perché ritenevano che fossero le sole qualità che rendono uomo l’uomo. E sentivano come proprio compito la necessità di allargare a tutto il popolo tali competenze, perché tutti potessero partecipare alla festa di riconoscersi fratelli. Non a caso l’esito di queste idee fu la Rivoluzione Francese e la dichiarazione dei diritti dell’uomo. Intendere questa musica fuori di questo percorso sarebbe fraintenderla. La clarté che i philosophes chiedevano alla filosofia, la esigevano anche dalla politica, dall’arte. E non c’è chiarezza senza uguaglianza, senza fraternità, senza libertà. Non c’è bisogno di manifesti politici, di dichiarazioni programmatiche. È la chiarezza stessa del processo musicale a dichiararlo: tutti possono capirmi, se possiedono la chiave per capirmi. Non basta il sentimento, bisogna capire come si dice il sentimento. Perché l’arte, anche la musica, è dire. I romantici sconvolgeranno tutto. Ma ne siamo ancora lontani. La musica dell’illuminismo, e la musica galante è la musica dell’illuminismo, è utopia. L’utopia che nella conoscenza si possa affratellare tutta l’umanità. Se c’è una lezione che possa venire in questa nostra epoca confusa, egolatrica, cinica, prepotente, da questa musica, è proprio questa. E questo gruppo di musicisti che qui ce la propone con tanta chiarezza e tanto ardore sono i messaggeri di un messaggio di civiltà che non dobbiamo lasciare che venga sopraffatto dalla violenza e dalla ferocia di quella che Giordano Bruno chiama la Bestia Trionfante: la Bestia dell’Ottusità che, contro la luce della Ragione, impone al mondo l’Oscurità della propria barbarie. Un pittore che esce proprio, anche lui, da questo sogno utopistico dell’illuminismo, Goya, schizza una serie di spaventosi disegni e incisioni in cui mostra come il sonno della Ragione produca Mostri. Non abbiamo altre armi, a sconfiggerli, che queste della chiarezza e di chiamare le cose con il loro nome.
Ma che cosa oggi diciamo con il suo nome? Tutto sembra sempre riferirsi ad altro, in un gioco di bussolotti, nel quale la mano di chi li manovra è più rapida dell’occhio che li guarda. Se è possibile assumere la metafora, in questa incisione il miracolo sta proprio nel fatto che questa musica rivela finalmente sé sé stessa, si mostra per ciò che vuole dire. La chiarezza dell’esposizione tematica si unisce alla flessibilità del fraseggiare, la dolcezza dei timbri strumentali non rifiuta episodiche asprezze, la duttilità dei ritmi momenti di ossessivo martellare. Ma i passaggi da un punto a un altro, da un modo a un altro non sono bruschi, scivolano delicatamente l’uno nell’altro. È ciò che Goethe chiama il “conversare” degli strumenti. Questa è una musica che trasferisce nella trasparenza delle struttura musicali la civiltà della conversazione dei salotti. E i cinque musicisti questo tono colloquiale, questa conversazione a cinque (o a tre, a due), sanno realizzarla con fluida naturalezza. Insomma, noi li seguiamo, mentre li ascoltiamo, dialogare musicalmente tra d loro, come ascoltassimo una conversazione tra persone garbate, educate a discutere intendendo le ragioni dell’altro. C’è perfino qualcosa di teatrale in questa conversazione musicale. E non desta meraviglia, visto che proprio dal teatro nasce lo stile di questa musica. Ma è non ultima lezione che noi possiamo apprendere da questi bravissimi musicisti, in un’epoca in cui è proprio il dialogo, la conversazione, ciò che sembra mancare, perfino quando sono solo due persone a parlare tra di loro. Al trionfo dell’urlo, dell’improperio, dell’esclusione, qui s’impara a parlare, a discutere con garbo, ad ascoltare l’altro. Una musica del dialogo, contro una società dell’odio e della discriminazione.
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