“Tornerà la lepre a Buna“, romanzo di esordio di Luigi Pisanelli, Musicaos editore, è stato definito un romanzo di formazione perché narra di un gruppo di amici che, tra gli anni Novanta e i primi dieci anni del Duemila, trascorrono il loro tempo al bar “Il Vento”, una sorta di quartiere generale, dove troviamo Penultimo, esperto di calcio, Franco Piano, deejay che vuole viaggiare per il mondo, Karl, che studia filosofia, Jacob, che è convinto di essere stato nella sua vita precedente un ebreo, che ha subìto le persecuzioni naziste, tanto da aver conosciuto Anna Frank, mentre fuori dal locale c’è il vecchio Tommaso, che racconta storie fantasiose di streghe e folletti, in fine c’è Bart, che è la voce narrante, anello di congiunzione fra tutti.
In realtà io credo che l’opera di Pisanelli sia molto, molto di più, proprio come viene affermato abilmente nella postfazione.
“TORNERA’ LA LEPRE A BUNA” non è un libro solo, ma tanti libri messi assieme che convivono nello stesso spazio ed allo stesso tempo…”
Infatti è un’opera colta in cui si affrontano tantissime tematiche, ma Pisanelli ci porta nel suo magico e colorato mondo con parole semplici.
“E lo fa senza farti sentire ignorante.”
Si parla di cucina in maniera strabiliante e altamente poetica:
” E poi imparai a cucinare il gulash ungherese. Sceglievo la polpa di manzo con cura, la maggiorana, la paprica dolce, le cipolle meglio se di Tropea – sono cipolle di una delicatezza incredibile, cioè, non è un semplice mito culinario quello della cipolla di Tropea – e la passata di pomodoro.Per la preparazione giusta del gulash mi occorreva circa una mezz’ora più tre di cottura, però ne valeva la pena. Eccome. La carne va tagliata a dadi non troppo piccoli,tipo il pugno chiuso dei bambini di sei anni.”
“Le cipolle vanno tritate ma io ho sempre preferito non tagliarle troppo finemente. La cipolla tagliata alla giusta misura, non troppo piccola, respira meglio e questo giova alla cottura e soprattutto al sapore. Si riscalda l’olio in un tegame possibilmente di coccio e si versa la cipolla. Si fa indorare per due, tre minuti (a fuoco lento) quindi si aggiunge la carne.”
Si parla di arte in maniera tale da cadere spesso, troppo spesso, nella sindrome di Stendhal:
” Guernica è un quadro in cui il vecchio Picasso dichiara il suo schifo verso il franchismo e credo pure verso i regimi totalitari in genere. E lo fa attraverso la strada che gli è più congeniale: la pittura. Nel Guerninca traspare il caos. Si vede una donna che piange disperatamente, la testa di un toro che credo sia un omaggio alla sua Spagna, un cavallo che sembra un asino, un sole sgonfio, un braccio mutilato, un piede tagliato duecento grammi di mortadella e altre cose così. Forse la mortadella non c’è. Comunque si capisce poco ad eccezione del caos. Sarà per questo che a me piace. Perché, poi, guardando quel quadro provi a dare un senso al disordine.”
Si parla di viaggi in forma onirica e, sorprendentemente, ci apre gli occhi e ci fa vedere cose che mai oseremmo immaginare:
“Il centro storico di Otranto è rimasto ancorato al suo stile gotico. Il mosaico della Cattedrale sembra aver varcato i muri della chiesa e inondato le strade antiche. Il centro storico di Otranto è un mosaico a cielo aperto. Il gotico, misto a nebbia, secondo me può causare allucinazioni.”
“Non è soltanto campi di lavanda a perdita d’occhio, la Provenza è la ragione stessa del viaggio.”
“Ero seduto al Cafè de nuit ed ero felice come un bambino. Ero in un quadro del mio pittore preferito. Mi sembrò di vedere un vecchio con una tela sottobraccio. Aveva una barba ispida e bianca. Si sedette all’esterno del bar e cominciò il suo dipinto. Forse ero in preda alle visioni ma va bene così. Viviamo anche di visioni, no?”
Si parla di musica non tanto nell’evocarla o citando i testi ma la musica sta nella musicalità delle sue parole tali da divenire, spesso, poesia.
E’ un’opera che affronta anche un tema molto importante, quello della malattia, la terribile sclerosi multipla, ma in maniera diversa, non la nega, la accetta, e le sorride, senza mai metterla in primo piano.
“Ancora non lo sapevo ma la vita, beffarda, per me stava già tessendo una trama che mai avrei potuto immaginare. Il mio 11 settembre. La caduta di tutte le mie sicurezze, il mio invecchiamento precoce.”
“Fu esattamente in quel periodo che cominciai a diventare un po’ duro di cuore. In realtà iniziai a provare un certo disinteresse per ciò che mi circondava. Non giocavo più a pallone perché improvvisamente ero incapace di correre, mi facevo la pipì addosso e mi stancavo a camminare come se a ogni passo stessi scalando l’Himalaya. Ogni tanto mi cadevano gli oggetti dalla mano senza trovarmi in una tempesta tropicale. Sentivo la corrente passarmi sulla schiena senza stare barbicato ai pali della luce. Cosa poteva più fregarmene di tutto e di tutti? La medicina ufficiale non mi aiutava…”
Alle prime pagine ci si sente un po’ persi e si capisce poco della storia perché i personaggi e i luoghi sono tanti, ma poi, grazie alla scrittura empatica di Pisanelli, si riesce ad entrare appieno nel suo mondo fatato e a gustare a piene mani delle sue meraviglie.
Così, di pagina in pagina, ci si accorge di assistere ad un collage di visioni narrate da un visionario, che è capace di raccontarti la realtà, sognandola insieme a te.
Luigi Pisanelli, nato a Casarano nel 1976, vive e lavora a Parabita (Le). Ama la natura, i cani, i buoni libri, la musica che fa prendere alla vita il verso giusto, ama cucinare e, infine ama la solitudine, a tratti intervallata dalla migliore delle compagnie possibili in questo mondo.
“Tornerà la lepre a Buna” (Musicaos Editore, Narrativa, 13) è il suo primo romanzo.