Maria Evelina Buffa Nazzari
Spesso sono arrivata seconda
vagabondaggi autobiografici di un granello di sabbia
Quella di Evelina Nazzari è una scrittura colta e felicemente restituita proprio dal suo sentirsi vagabonda, granello di sabbia e “seconda”. Viaggia in un territorio ostile, quello dei conti con se stessa presentati dal ritrovamento non del “suo” diario di scuola, ma del diario di quella ragazza che lei era negli anni Settanta. Quella ragazza che andava per il mondo con il suo carico di sogni, aspettative e progetti, con il suo lavoro di attrice, con il suo essere figlia di due celebrità come Amedeo Nazzari e Irene Genna. Quella ragazza che viveva, come tante altre ragazze della sua età, un rapporto difficile con sua madre Irene, e che vide poi il declino e la malattia del padre Amedeo. E ci racconta di un uomo che aveva vissuto successi clamorosi, che a un certo punto della sua carriera fu ingiustamente trascurato dal suo mondo e arrivò a isolarsi e a rifugiarsi nel solo posto dove stava bene, con la sua famiglia, per stabilirsi là nella posizione più sicura, a evitare ogni soffio di vento avverso da destra e da sinistra, pur di non fare “pubbliche relazioni” e non dover chiedere niente a nessuno. E di una donna, Irene, che cercava in ogni modo di spronarlo a uscire dall’angolo, di smussare i lati più duri del suo carattere orgoglioso. Quella ragazza si ripresenta all’autrice in una dolorosa fase di cambiamento della sua vita, mentre è impegnata a ricostruirsi come essere umano dopo la perdita di un figlio e la separazione da suo marito, durante un trasloco che pretende la distruzione di un numero enorme di carte, documenti e ricordi.
Il racconto di Evelina Nazzari nasce da un diario e si sviluppa come tale, senza seguire un percorso preciso, seguendo un approccio narrativo che affascina il lettore. Il racconto della vita quotidiana di quella ragazza e della sua famiglia cosmopolita che abbraccia l’Italia, la Grecia e la Turchia, gli episodi della vita e della carriera del padre Amedeo e della madre Irene Genna, le riflessioni sull’adolescenza, sulla condizione umana, e infine la prospettiva del declino inevitabile, ha il sapore e le potenzialità di un romanzo. Nella sintesi di finito (il presente vissuto oggi) e infinito (il potenziale di ogni adolescente), di passato e presente, il primo termine perde sempre maggior terreno, come per ogni essere umano.
Non è una donna scaltra e calcolatrice, Evelina. Vive la sua vita con una certa amabile ingenuità, la stessa con cui accoglie sia i successi del primo ruolo davvero importante (è Rossana nel Cyrano di un celebre regista), sia le prime vere difficoltà familiari: ora fa qualcosa di buono, ora invece qualcosa di folle (ma cos’è buono e cos’è folle?), e poi ricomincia da capo. Fa la sua parte nello spettacolo della vita. Anche quando arrivano i colpi che mettono a repentaglio tutto – i lutti, le separazioni, le sottrazioni – Evelina mostra un’infinita coerenza in sé stessa. Forse non vince tutte le battaglie, nessuno può farlo, ma al contrario di quelle figure incolori che non hanno da perdere niente perché la loro incoerenza interiore li mette nella condizione di poter perdere e conquistare soltanto cose singole e frammentarie, l’esistenza di Evelina è interamente fondata su questo granello di sabbia, piccolo quanto si vuole, ma autentico. È una lezione di vita. Seguendo il racconto della sua vita quotidiana, nato dal venir meno o dal realizzarsi delle sue aspettative di ragazza, dai tanti dolori patiti e dalle gioie vissute, si perviene all’intimità della sua coscienza salvata dal naufragio e ricostruita ogni volta.
La sostanziale estraneità di quella ragazza degli anni Settanta alla donna del nostro tempo potrebbe far pensare ad una sorta di “inattualità”. E invece il suo racconto è di una “attualità” straordinaria, proprio per il suo dirompente contrasto con le comuni convinzioni di oggi su cosa debba essere una persona, una donna, un’attrice, una madre, una figlia d’arte di successo. Queste pagine di Evelina Nazzari contengono, infatti, un antidoto veramente efficace e una terapia assai forte contro la protervia dell’essere umano odierno.
Chiunque provasse ad avvicinare direttamente il ragazzo o la ragazza che era, avvertirebbe subito una profonda differenza tra ciò che è e ciò che era, e si troverebbe in un giro di pensiero che elude gli schemi di qualsiasi scuola filosofica o teologica. Quel ragazzo o quella ragazza ci apparirebbero come montagne irte e impervie, senza sentieri, nel turbinare di una tempesta dove sembra venga a mancare ogni punto di riferimento. Ma Evelina, la montagna irta e impervia l’ha affrontata e la sua anima ha esaltato le sue doti, capace di districarsi tra la complessità della produzione letteraria e l’analisi della sia vita. Il suo libro è un gioco complesso della comunicazione diretta e indiretta, ricco di scintillio poetico e commozione, fatto di monologhi tipici della struttura del diario portato a tutti i livelli della coscienza: dall’avvertenza gioiosa o dolente dei piccoli e grandi casi quotidiani, alle riflessioni sui problemi supremi della vita e del pensiero e sulle crisi della vita di una donna in perenne attesa di una vera “rivoluzione”. Evelina Nazzari sale, con l’umiltà del granello di sabbia, sulle spalle del gigante e con il gigante vive invitando noi, che siamo granelli come e quanto lei, a fare altrettanto.
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