Roma Tre Orchestra. Silvia Chiesa. METAMORFOSI MUSICALI: concerto n. 459 dalla fondazione

Silvia Chiesa al Palladium- Foto di Serena Savatonio
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Silvia Chiesa al Palladium- Foto di Serena Savatonio

Silvia Chiesa al Palladium- Foto di Serena Savatonio

TEATRO PALLADIUM. Università degli studi Roma Tre.

Roma Tre Orchestra. 

METAMORFOSI MUSICALI:

concerto N. 459 dalla fondazione.

Roma Tre Orchestra

Silvia Chiesa, violoncello

Dario Macellari, direttore

 

Due parole, giusto due parole sulla “ripartenza” dei concerti dell’Orchestra di Roma Tre al Teatro Palladium di Roma. L’ostinazione del suo direttore artistico, Valerio Vicari, ha dato i suoi frutti. Riccardo Viscardi, violocello dell’orchestra, ha rivolto alcune parole al pubblico prima del concerto. Non ha detto cose nuove. Ma sono cose che molti, troppi italiani non sanno e soprattutto non le sa chi governa e amministra il paese. Attori, musicisti sono lavoratori senza sostegno sociale, non hanno la cassa integrazione, non hanno leggi che ne proteggano l’attività. Sono di fatto buttati nel mercato indifesi, senza protezione. Di fronte ai pochi che diventano famosi e ricchi, tutti gli altri vivono insicuri, instabili, provvisori, insomma “precari”. Per qualcuno è quasi una fortuna lavorare almeno 30 giorni l’anno. O raggiungere un reddito tra i 2.000 e i 3.000 € l’anno. Senza nessun fondo di sostegno. Senza nessun reddito aggiuntivo, comunque lo si vorrà chiamare. I rider hanno più visibilità e sostegno di loro. Sarà forse perché mangiare pizze, carne o verdura è più produttivo che cibarsi di cultura. A parole magnificata, di fatto ignorata. Finita, infatti, l’occupazione di “divertire” gli altri, questi altri, la società, e soprattutto il governo della società, si disinteressano di loro. Né va molto meglio per le associazioni. Qualcuna, come appunto l’Orchestra di Roma Tre, non è nemmeno inserita nel FUS. Con tutti gli svantaggi, anche di occupazione, per gli artisti che collaborano ai concerti che ciò comporta. Essere esclusi, per esempio, dalle graduatorie nazionali per l’insegnamento, perché i concerti non attribuiscomo meriti artistici riconosciuti che possano fare punteggio.

Detto tutto questo, il concerto di “ripartenza” dell’Orchestra Roma Tre, Metamorfosi musicali (mai titolo fu più giusto), dopo la chiusura forzata per difendersi dai contagi, è stata una festa. L’Orchestra si è presentata con la sola sezione degli archi. In programma tre pagine che più diverse non si può, e tuttavia significativa ciascuna del complesso mondo musicale che dal classicismo giunge al romanticismo e alla sua dissoluzione. In apertura il Preludio e la Morte di Isotta dal Tristano e Isotta di Wagner in una versione per soli archi. Proprio la riduzione dell’organico ha reso evidente il nucleo da cui partirà Schoenberg per il suo Sestetto d’archi Verklärte Nacht, Notte rischiarata (trasfigurata è traduzione corrente, ma fuorviante), poi anch’esso trascritto per orchestra d’archi, e dunque per lo stesso organico della trascrizione dal Tristano, ascoltata nel concerto al Palladium di Rona. L’intrico che equipara melodia e armonia in un unico groviglio contrappuntistico si rivela insieme sintesi di un lungo passato (almeno fino a Bach) e premonizione di un futuro ancora più aggrovigliato. C’é già perfino l’irruzione disordinante di una strano intervallo, la quarta – fa si – pedale che sostiene l’accordo del Tristano e punto di lancio dell’esasperazione schoenberghiana.  Seguiva lo straodinario, e impervio, Concerto in re maggiore Hob. VII B 2 per violoncello e orchestra di Haydn. Violoncello solista, Silvia Chiesa. Si è fatto a meno dei due oboi e dei due corni, riducendo, anche qui, l’orchestra ai soli archi.

Haydn è uno straordinario conoscitore degli strumenti, rappresenta nel Settecento ciò che saranno nell’Ottocento Berlioz e nel Novecento Ravel. Quindi quando scrive per violoncello scrive per uno strumento che conosce bene, che sa anzi anche suonare. Per di più Haydn, al quale il principe Eszterházy aveva lasciato mano libera per la formazione dell’orchestra, aveva scelto a uno a uno gli strumentisti della sua orchestra di Eszterháza, e sembra che il violoncellista fosse straordinario. Proprio da questa familiarità, e amicizia, con i suoi strumentisti, Haydn rielabora e sviluppa l’esperienza straordinaria del quartetto, una musica non per ascoltatori, non da suonarsi in concerto – anche – ma soprattutto destinata agli stessi interpreti e ai colleghi compositori (un po’ come nel Cinquecento era stato il madrigale). In ciò, Haydn è veramente il padre del sinfonismo e della musica da camera moderni. Non gl’interessa, come per esempio interessava a Boccherini, l’espansività melodica del violoncello, bensì il suo ampio ventaglio di registri tra i quali scorrazzare. Un po’ come sarà per Mozart l’esperienza del clarinetto o per Beethoven del fagotto. E allora passi più simili allo studio strumentale che all’invenzione tematica hanno, appunto, la funzione di espandere il tema in ogni ambito chiedendo al violoncellista mani di funambolo.

In qualche modo, sia pure su uno strumento ad arco, è anticipato il virtuosismo pianistico di LisztPaganini, per il violino, o per la chitarra, si muove in tutt’altra direzione, quella dell’esibizione sbalorditiva, laddove Haydn e Liszt non escono mai dalla stretta elaborazione di cellule tematiche fondamentali semplicissime, magari talora esclusivamente ritmiche. Brahms ne farà tesoro, intuendo che la nuova musica comincia qui. Proprio questo aspetto dello studio strumentale applicato all’elaborazione tematica e dunque all’indagine ritmica, all’effusione melodica, quando c’è, rende l’interpretazione di Silvia Chiesa insieme così evidente e così catturante. Chiudeva il concerto una trascrizione per orchestra d’archi della Holberg Suite op. 40 di Grieg. I musicisti del tardo romanticismo vivono una strana nostalgia per il Settecento, barocco e classico.  Ne sono toccati anche Brahms e Čajkovskij, e vi si possono intravedere quelli che saranno gli esiti neoclassici di uno Stravinskij o di un Poulenc. Raffinatissimo, Grieg vi trasfonde tutto il suo gusto per le armonie nuove e insolite, per i ritmi particolari. Una delizia. La sua sarabanda, la sua gavotta, il suo rigaudon, da godersi fino in fondo. Anche per merito del bravissimo e sensibilissimo, intelligente, direttore: Dario Marcellari. La chiarezza della lettura sembrava disporci la partitura sotto gli occhi. Il folto e affezionato pubblico convenuto, che tuttavia ha rispettato i limiti del distanziamento fisico (fisico, non sociale, che c’entra “sociale”? mica ci si distanza dalla società!), ha applaudito tutti con calore.

- 30/07/2020

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