riflessioni vaganti sulla musica

  • WhatsApp
  • Telegram
  • Reddit
  • LinkedIn

Butto giù qualche riflessione su che cosa sia, possa essere davvero la musica. E intanto mi trovo a meditare sul fatto che spesso si dimentica che musica e linguaggio adoperano la stessa materia: il suono. Di questa condizione si approfitta solo per affermare che anche la musica è linguaggio. Ma non è vero. Perché il linguaggio attribuisce, convenzionalmente, e diversamente per ciascuna lingua, all’aggregazione dei suoni un significato preciso, inconfondibile, una denotatazione concordata, la musica no. Ma poi, è vero, lo stesso linguaggio ha aspetti musicali: l’intonazione (e non solo nelle lingue tonali, come il cinese), il ritmo, il respiro della frase, il tono della voce se interiettivo o interrogante o commosso (Benvéniste suppone che la musica nasca dalla stilizzazione dell’interiezione, Diderot la sentiva come un formalizzarsi del grido animale), e così via. Ma c’è un secondo punto: da Pitagora in poi la musica è stata messa in relazione con l’ordine matematico del mondo. Ora, la separazione di conoscenza umanistica e conoscenza scientifica è un obbrobrio recente e quasi solo italiano o almeno solo in Italia così netta (eredità crociana?). Certo che la musica ha a che fare anche con la matematica, come del resto il linguaggio: il ritmo di un verso, di una pagina di prosa ben costruita che altro è se non calcolo che misura i respiri della voce? Il madrigale italiano sperimenta proprio l’innalzamento a fenomeno musicale dello stesso suono e ritmo della lingua. Dove sta il segreto della bellezza di versi come “Placida notte e verecondo raggio / della cadente luna” se non nel ritmo del suono delle parole? Privilegiare uno solo di questi aspetti e definirlo natura della musica è riduttivo, perché invece la musica è una realtà intricatissima e complessa che non si può regimentare in un’unica direzione. Ha ragione Dahlhaus quando afferma (in Musica assoluta: un paradigma estetico, da L’idea di Musiica Assoluta, Roma, Astrolabio, 2016) che in fondo l’intuizione di Platone che la musica sia composta di tre elementi, l’harmonia, il rhythmos e il logos (ἁρμονία, ρυθμός, λόγος), relazioni tra i suoni – gli intervalli -, misurazione del tempo, e razionalità. A noi, eredi dei romantici, pare una cosa stravagante che la musica realizzi un ordine, comunichi la razionalità. Ma, per esempio, sia Hegel sia Kirkegaard davano credito a questa impostazione. La musica ci toccherebbe così profondamente, colpirebbe con così violenta forza la nostra emotività, proprio perché rappresenta un ordine del tempo, una misurazione dei suoni della natura, una proiezione limpidissima del sostrato in cui siamo immersi e che chiamiamo vita. Ci confronta con il nostro essere creature di un giorno, effimeri, soggiunge Hegel: non riusciamo ad afferrarla che quando è finita, si è compiuta, serbandone nella memoria il percorso, ma in sé non esiste che nella percezione dell’attimo, è solo la memoria dell’accaduto fino al punto di ascolto che la ricostruisce come un continuum, nel nostro cervello, non nella realtà esterna. Il che è un terribile confronto con la morte. Kirkegaard dice la perfetta realizzazione dell’estetico, dell’attimo chiuso in sé stesso, come nell’amore, nella vita dei sensi. E perciò il Don Giovanni di Mozart ne sarebbe la realizzazione suprema. Il mutamento, comunque, è la radice di ogni musica. Il suono vive nell’attimo, appare e si estingue. Avevamo imparato a memorizzarlo nella continuità di una melodia, nella coerenza di una successione armonica. Che succede se mi è impossibile rimettere insieme i pezzi di una canzone o di progettare un percorso armonico? Avevamo racchiuso il suono in un piccolo chiostro di suoni “musicali”. E tutti gli altri? quelli che chiamiamo “rumore” (ma il rumore non esiste)? o soffio, o fruscio? perché non potrebbero “fare” musica? e una musica intellegibile, memorizzabile quanto quella della melodia e dell’armonia? Particolare che era sfuggito alle avanguardie, tutte tese a illudersi che la musica fosse linguaggio, seguisse una logica. E se fosse invece una diversa scansione del tempo? Aristotele nega che il tempo sia un dato oggettivo. Non lo si percepirebbe se non ci fossero i movimenti, i mutamenti dei fenomeni. E se la musica fosse la registrazione di questi mutamenti e dunque del fenomeno inafferrabile del tempo?

- 08/09/2023
TAGS: musica

ISCRIZIONE ALLA NEWSLETTER

Subscribe

* indicates required
© Cyrano Factory è prodotto da Media Factory Adv. All rights reserved.
ACCEDI CONTATTI REGISTRATI AUTORI