La vita di India Stoker (Mia Wasikowska) subisce un duro colpo nel giorno del suo diciottesimo compleanno. L’amato padre Richard (Dermot Mulroney) ha perso la vita in un terribile incidente stradale. Al funerale fa la sua comparsa Charlie (Matthew Goode), fratello di Richard e zio di India. Il nuovo arrivato, del quale India ignorava completamente l’esistenza, decide di rimanere ospite per un po’ di tempo nella casa di suo fratello. Charlie intesse un intimo legame con Evelyn (Nicole Kidman), la madre di India, ma la ragazza si dimostra sempre più diffidente e indagatrice nei confronti del misterioso e intrigante zio. Con il passare del tempo la stessa India subisce il fascino sinistro e ambiguo dello zio, dando vita così ad una sorta di complicità. Ma quando alcune misteriose scomparse legate all’ambiente famigliare iniziano a verificarsi, uniti alla scoperta di indizi sconcertanti sulla morte di suo padre, portano la giovane India a rendersi conto della vera natura celata dietro l’aspetto ordinato e giramondo dello zio…
Abbandonati i fasti della “trilogia della vendetta” (composta da Mr. Vendetta, 2002, Oldboy, 2003 e Lady Vendetta, 2005), l’acclamato Park Chan-wook volta pagina, dedicando anima e corpo ad un progetto totalmente differente. Si tratta di Stoker (id., 2013), primo film “occidentale” del regista sudcoreano basato su una sceneggiatura di Wentworth Miller (volto noto della serie tv Prison Break, 2005-2009). Complesso e incalzante, la prima impressione a caldo dell’ultimo lavoro di Park è quella di un film interamente strutturato su almeno tre livelli a loro volta dicotomici: un livello cromatico che gioca – contemporaneamente – con i contrasti di tonalità calde e fredde. Un secondo livello suono-rumore che diventa una costante, sorta di trait d’union tra le vicende e, infine, un terzo livello votato alla funzione di “specchio-riflesso”. Ed è proprio da quest’ultimo livello che è possibile riconoscere il tema centrale dell’opera del regista: il doppio e il suo riflesso.
Attraverso il recupero di quel doppelgänger di letteraria memoria, Stoker è la messa in scena di un “duello” psicologico tra India e suo zio Charlie. Ad ogni misteriosa azione, ad ogni comportamento anomalo aumentano gli interrogativi della giovane protagonista. Come può una persona sbucata dal più totale nulla sapere a menadito tutti i particolari e conoscere gli avvenimenti che hanno accompagnato la crescita della ragazza? Alla ricerca di risposte concrete, India si avvicina sempre più al giovane zio, figura quasi “vampirica” che la attira a sé, sancendo un tacito accordo su ciò che si sa e sulle verità ormai risalite a galla.
Charlie è il doppio ideale, “riflesso” di India stessa, non poco problematica ed introversa. Tra i due si instaura un rapporto speculare e sensuale, che porta India a diventare complice e potenziale “amante” dello zio. Un rapporto capace di far tacere sul passato e sugli oscuri atti commessi e vergati di sangue. Ma anche un doppio, per quanto sia (o possa) completare l’essere originario, diventa un ingombrante ostacolo alla continuazione della potenziale crescita di quell’Io ormai senza freni inibitori.
L’algida e disarmante interpretazione di Mia Wasikowska e quella conturbante di Matthew Goode – senza dimenticare la sempre brava Kidman – rendono Stoker inquietante, disturbante ma, allo stesso tempo, suggestivo, un film sotto il segno di Eros e Thanatos. Fine thriller psicologico che si presta a più di una visione e interpretazione, potrebbe risultare di difficile comprensione a chi magari cerca un semplice lungometraggio fatto di mistero e suspense. Invece chi non ha paura di addentrarsi nei meandri più tenebrosi dell’animo umano, avrà modo di confrontarsi con un prodotto di notevole qualità che stimola il pensiero stesso subito dopo la visione, cercando ogni singola risposta a tutti gli interrogativi lasciati (volontariamente) in sospeso.