Il punto di forza del romanzo è una scrittura elegante e camaleontica: poetica ( ma senza miele ) laddove necessario, potente e nerissima quando scandaglia il dolore, descrittiva eppure scevra di un irritante indugio su orpelli che scattano in automatico a molti. Parlo di quelli che stagliano a fondo della narrazione città di complessa bellezza, come Napoli. La Vicidomini è stata abile nel mantenere celata l’identità della mano che uccide Viola Carraturo, cupa e indecifrabile anima in pena, e a decriptare poi le ragioni della sua vita distrutta. Soltanto a tre quarti del romanzo, se non oltre, si intuisce il/la responsabile della sua morte ma questa non è una falla nella trama ben costruita: è il noir che “funziona” così. Non importa sapere chi ha fatto cosa, ma perché. Meravigliosi gli intervalli in corsivo, che non sono affatto “spiegoni”. Questi indispensabili flash su dolore, ragioni e azioni dei vari personaggi, arricchiscono la storia senza mai appesantirla.
Un frammento di questi intermezzi, che dà spiegazione alla disperata follia di alcune azioni, lo copio/incollo qui. E’ uno dei tanti che mi hanno spappolato l’anima:
A volte sento la testa leggera, quasi fosse piena di pensieri fatti d’aria. E’ una sensazione rara, per me.
In genere sento di avere pensieri pesanti come sassi che premono uno sull’altro, accumulandosi nella cavità del cranio, che immagino simile a una scatola fatta di ossa. Avete presente le capuzzelle, quelle dei defunti che sono al cimitero delle Fontanelle, nel cuore storico di Napoli?
Ecco, immagino di essere una di quelle creature senza carne né organi, con tante pietre scure, irregolari, che qualcuno continui a lanciare nella mia testa scoperchiata.
Giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno.
Tanti pensieri mostruosi e che mi riempiono fino alla cima, poi rotolano fuori dalla testa e se ne vanno in giro.
A volte fanno brutte cose, come qullo che è successo con la tabaccaia. Però non sempre, altre volte rimangono acquattati dentro e mi fanno solo dolere la testa, fino a quando la nebbia che li avvolge si disperde.
Solo allora i pensieri diventano leggeri, come fatti di nuvole e sospiri.
Motivi principe dell’intera narrazione sono la maternità, affrontata in tutte le più ampie sfaccettature, anche quelle le più cupe e inconfessabili, e la violenza sulle donne che non sempre è composta da ossa rotte e schiaffi violenti sulla faccia, ma di costrizioni e gabbie che imprigionano e distruggono un’esistenza.
Non racconto altro su trama e personaggi, a mio personale gusto la recensione di un libro è composta da quelle sensazioni e botte di pancia che ti fanno amare una storia. E’ sufficiente questo per descrivere le sue pagine, per invitare altri a scoprirne il valore. Mi limito a indicare, in calce, la sinossi e a ringraziare Letizia Vicidomini per aver concepito e scritto così bene una storia meravigliosa.
Mi ha regalato tanto, inclusa una notte (quasi) in bianco. Quella compresa fra il tardo dopocena di ieri e le prime ore di stamattina, quando ho sfogliato l’ultima pagina del libro con dolore bello, malinconia e anche qualche sorriso appiccicati alla stoffa del pigiama.
L’autrice:
ATTIVITA’: Assistente amministrativo per dovere – Speaker radiofonica per passione – Scrittrice per vocazione
SEGNI PARTICOLARI: naso a patatina (così diceva la sua mamma)
LA TROVATE SU: facebook
twitter: @LetiziaVicidomi
Sinossi: Andrea Martino, “il Commissario buono”, è in pensione da un anno, con tutta l’intenzione di godersela tra i nipoti e le sue amate piante. Un giorno di primavera viene chiamato dal suo vice, promosso a capo della squadra: hanno trovato una donna anziana con la testa fracassata, all’interno del suo esercizio di Sali e Tabacchi. Un condominio intero nasconde la storia della tabaccaia, ma il Commissario si lascia catturare dalla vicenda, per dare alla vittima giustizia e pace. Ma chi era davvero quella donna?