Il mondo sta male. Che meraviglia se la malattia si ripercuota o si rifletta nelle vite individuali? L’abitudine di guardarci l’ombelico è talora una fuga dal dolore provocato dal guardare il dolore degli altri. Ma si fa quasi una cura – di sé stessi e del mondo – se l’occhio della mente, guardandosi dentro, guarda anche il fuori che dolorosamente vi si rispecchia. È quanto ho cercato di dire in questa poesia: l’io non è mai tale se esclude il tu, il voi, il noi. E qui l’io vuole farsi voce di un noi che oggi, sembra, in Italia non ha il coraggio di parlare.
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