La linea di continuità nella sua mancanza d’interruzione rivela un segno estetico tanto irregolare quanto esplorativo, penetrante, incisivo. Scopre e fa vedere al di là del suo tracciato, delinea il tratto di somiglianza, arriva al nucleo corporeo in cui vibra l’anima, percepibile ma non visibile.
Il disegno come prospetto letterario, la matita al servizio della penna, l’insieme infinito dei punti che dà luogo a quello delle parole.
In pratica il delirio, l’esternazione fulminea, un non ragionamento che fa luce in quanto linguaggio di stile al di là del suo possibile e inutile contenuto, una possibilità di scrittura distinta, il suono di un intreccio sintattico, l’ordine estatico di una sequenza di frasi a incastro, il susseguirsi di una grammatica d’antan… e così per altri tre o quattro righi ancora.
Ecco, non sono un pittore, men che meno un disegnatore. Mi pare evidente, per Diana!
