Abbiamo scambiato qualche parola con Cristiano Longoni, psicologo e psicoterapeuta, a proposito del suo “Scrivi di noi (del dubbio, del culo e del desiderio)” edito da Bookabook, un romanzo in cui, le peregrinazioni amorose del protagonista, aprono un mare magnum sull’esistenza del singolo individuo.
Caro Francesco è nato molti anni fa, inizialmente attraverso l’ascolto.
Colpa di quella strana donna di mia madre che a differenza delle altre mamme, invece di raccontarmi storielle o fiabe per farmi addormentare, mi declamava la Cavalla Storna o Pianto Antico oppure mi leggeva pezzi di Canto Generale o del Gabbiano Jonathan Livingston.
Insomma, un’infanzia cullata e alcune volte invasa dal ritmo e dal profumo delle parole, quindi nulla di strano se a 15 anni, invece di ascoltare le lezioni di chimica, scrivevo poesie a scuola.
Ho iniziato così, con poesie un po’ arrabbiate e un po’ ingenue, come fanno in molti.
Poi un giorno una cara amica di famiglia, trovando il plico di fogli sparsi su cui davo sfogo alle parole, decise, senza dirmelo, di mandarne alcune ad un concorso di poesia.
Arrivai terzo e da lì iniziai a vincerne alcuni, sino all’ultimo che vinsi e mi diede la possibilità di pubblicare la mia raccolta: “Il Patibolo del Buonsenso” con la prefazione del “maestrone” di Pavana (Francesco Guccini).
Dalle poesie ad una serie di monologhi, tutti finiti in qualche cassetto e poi l’incontro con Alqun e la necessita di chiudere un cerchio, iniziato tanti anni prima.
Quando un’insegnante di latino del liceo che frequentavo, uno di quegli insegnanti che devi avere “culo” per riuscire ad incontrarli nella vita, mi disse: “Chiudi gli occhi Cristiano e prova ad immaginare. Scorri gli anni e vai avanti. Dieci, venti, trent’anni. Ora dimmi com’è il Cristiano che vedi davanti?”.
“È seduto, una finestra fa intravedere una città antica, medievale. Una scrivania e una vecchia macchina da scrivere.”
La macchina da scrivere antica l’ho presa, il primo libro l’ho scritto. Per la città medievale mi sto organizzando.
Sono diversi. Ho letto molta narrativa da ragazzo, ora da qualche anno mischio tra narrativa e saggistica. Tra gli italiani, per parlare di contemporanei, mi piace molto Baricco, ma ho una predilezione per Licalzi, ma anche Missiroli non lo metterei in secondo piano.
Poi i miei amori: Bukowski, Hesse, Borges, ma anche Castaneda, Bach e molti altri.
Scrivi di Noi, in realtà è un meraviglioso espediente in cui la traccia narrativa ha due scopi: primo rappresentare l’evoluzione di questo personaggio un po’ guascone, un po’ cialtrone e un po’ romantico che segna un pochino le esperienze di molti di noi; secondo trascinare all’interno della storia momenti di riflessione in cui prende forma un modello di pensiero, definito “inusuale” che è il risultato dei miei studi, ma soprattutto delle mie esperienze professionali e umane.
Quindi direi che ha influito parecchio.
Nasce da un momento di vita vissuta che viene anche narrato nel libro, un momento in cui uno dei molti incontri fortunati della vita, in un istante di fine, prima di allontanarsi definitivamente mi disse appunto: “Scrivi di Noi”.
Mi resi conto in quel momento di come diversi Incontri fortunati mi avevano permesso di modificarmi e di diventare, nel bene e nel male, ciò che ero diventato.
Difatti il romanzo prende piede da un base autobiografica che naturalmente però lascia il passo alla narrazione.
In realtà è una riflessione e una risposta ad una società che spesso dimentica l’importanza della relazione con l’Altro da sé, cullandosi nell’idea eccessivamente individualista dell’essere sufficienti a sé stessi.
È una “direzione ostinata e contraria” verso i manuali del fai da te psicologico, con le sette mosse per essere felici e i settantadue desideri da ripetere a mantra tutte le sere per raggiungere la goduria eterna.
Intendiamoci, non ho nulla contro chi scrive questi testi, la sola cosa che mi urta è che inneggiano tutti all’idea che un individuo possa salvarsi da solo, ma se riflettiamo, se ci pensiamo realmente, l’unico reale cambiamento umano, nasce solo attraverso l’Altro da noi, sia esso una persona, un evento, una dimensione affettiva o relazionale.
Scrivi di Noi pone il lettore di fronte ad una scelta: leggere la storia divertendosi o meno, oppure faticare nel riconoscere contraddizioni e false credenze che incidono, sempre, sulla nostra possibilità di vivere pianamente. O almeno, questo è stato il mio tentativo nello scrivere.
Quando coloro che lo hanno già letto mi scrivono: “mi sono divertito, non volevo che finisse e soprattutto mi ha fatto riflettere molto”, io raggiungo la più grande soddisfazione che questo libro possa regalarmi.
Come detto prima un po’ di biografico c’è, ma non si può dire quanto. J
Ho una sola risposta, coincisa, ma con tutto il significato che merita: a coloro che cercano.
Ho iniziato un altro racconto con Al come protagonista, un po’ perché mi sono affezionato, un po’ perché se Scrivi di Noi rappresenta un processo di integrazione del femminile, ora mi manca quello del maschile. Sono junghiano, ognuno ha le sue sfighe J
Per scrivere il primo ci ho messo quattro anni… spero non sarà così con il secondo, ma credo ci vorrà meno tempo, soprattutto perché ho finalmente deciso di dedicare, nella mia vita, più tempo allo scrivere.
Non credo di essere in grado di dare consigli particolarmente intelligenti, posso solo dire ciò che è accaduto a me.
Ho sempre scritto spinto da ciò che il buon Hillmann definisce Daimon, la “creatura divina”, presente in ognuno di noi e che spinge per portare a compimento ciò che la nostra anima si è scelta prima di nascere.
Ma il daimon non può essere controllato, non è costante e non è coerente, siamo noi a doverci adattare a lui.
Tradotto scrivevo e scrivo ciò che mi viene nel momento, non necessariamente qualcosa che segue il percorso narrativo della storia.
Alcune volte il materiale è coerente ed adeguato al testo, altre è qualcosa che rimane e che magari, potrà andare bene per altro.