Il dialogo fra le arti nell’ultimo libro di Alberto Toni
Nello spazio dedicato al cinema e alla poesia nel giardino di Piazza Vittorio a Roma (Esquilino Poesia e non solo …) si è tenuta, a conclusione del ciclo estivo, organizzato per il 2022 da Angelo De Florio, la presentazione di Tempo d’opera, raccolta di poesie di Alberto Toni (Il ramo e la foglia edizioni, 2022. Introduzione e cura di Roberto Deidier). Alla presentazione estrosa e colta di Plinio Perilli sono seguite letture degli attori Gianni De Feo e Ester Pantano e intermezzi musicali alla viola eseguiti da Lorenzo Massotti. Si è così delineata dal vivo quella tendenza a cercare un dialogo fra le arti che oggi si va affermando in più direzioni e che trova nel libro di Toni importanti conferme.
Tempo d’opera, completato da Alberto Toni (1954-2019) poco prima della sua scomparsa, è uscito postumo. Nella bella introduzione Deidier ricorda l’amicizia con Alberto, iniziata negli anni Ottanta, quando entrambi frequentavano l’ambiente dei poeti romani. È del 1987 la prima raccolta di Toni, cui ne seguiranno altre fino a Non c’è corpo perfetto del 2018. Dalle parole di Deidier si coglie bene il clima di lieta effervescenza, clamore mediatico e entusiasmo come di aurorale rifondazione, che in quegli anni circondava la poesia: accanto a poeti già ben noti e avviati alla storia della letteratura, ne nascevano molti altri, mentre si moltiplicavano letture pubbliche, edizioni semiclandestine, dibattiti, polemiche. È indubbio che, nonostante il dannoso irrompere di troppi improvvisatori, quel clima ha concimato anche la nascita di non pochi poeti di grande interesse. Toni fra questi. Presenza gentile, seria e discreta, che alla poesia ha dedicato una partecipazione di vita, alimentata da studi, letture e interesse per le altre arti, in primo luogo quelle visive. Questo ultimo libro riassume, completa e porta al suo fine un destino in cui la parola poetica alimenta il formarsi di un’interiorità cui è affidato il compito di interrogarsi sul senso delle cose e di opporsi alla disgregazione. La realtà è qui osservata con «gli occhi della mente» e compare in uno spazio protetto dell’io nel suo frantumarsi e velarsi di ombre minacciose, ma anche nelle scaglie di bellezza e di amore accolte con gratitudine e coraggio. Un ruolo importante ha avuto nella vita di Toni la malattia, protratta per lunghi anni, con periodi di latenza e ricomparsa. In questo libro ci colpisce il ruolo importante ma non centrale che il male, la debolezza fisica, la lotta protratta contro la tentazione del cedimento, assumono entrando in rapporto con l’amore, la bellezza della natura, il fulgore della parola poetica, la sapienza con cui l’arte aiuta ad affrontare il male del vivere. «Lascia la luce il giorno come si fa con le cose / perdute, e sempre la speranza di un incontro / che non viene. Ma poi c’è sempre un incontro / voi state sicuri» p.85: parole che si inseriscono in una poesia che fa riferimento a Rotella e Afro, al décollage e all’informale, a quella storia «dello strappo e del colore» che fa intuire come lo strappo sia lo stesso «di una parola a stento ritrovata». In questo connettere l’immagine esterna con un’insorgenza creativa tutta interiorizzata nel lampeggiare di una nuova consapevolezza hanno un ruolo centrale pittori, scultori e poeti, dal Giacometti del ‘47 (evidente il processo di identificazione), a Fontana (i cui tagli affilati hanno un forte valore simbolico), al Guttuso della Crocifissione del ‘41, al Cristo morto di Mantegna, icona universale che rivela la sorte di ogni vivente, all’Angelo di Licini. E c’è anche l’Autoritratto col fiore in bocca di Pasolini che sembra dire «ci troveremo in un punto lontano dello spazio, sempre». Visione e immagine divengono forma, e questo spiega il nesso che collega le arti: «Ogni poeta ha una sua forma grafica. / È un tratto distintivo, una forma del cuore, / il visto o solo immaginato che torna, / si stende in forma» . E poi, oltre alle arti visive, anche i musicisti come Luigi Nono, e i poeti più amati: da René Char è ripreso il tema delle «Cose», del loro repentino accadere e trasformare tutto in un istante, come avviene nella vita, ma, aggiungiamo, anche nell’arte. E poi il Caproni della «Bestia», immagine terrifica che molto ricorda Cerbero e la sua «fame rabbiosa» di viventi.
Un libro, dunque, che nella sua compattezza ci dice che viviamo di frammenti, che gioia, dolore, disperazione e speranza si alternano e dividono in un caleidoscopio in cui ruotano le opposte ma contigue evenienze del vivere. Mattini, alberi, uccelli, verde della natura, abbaiare di cani, la grazia degli affetti, scandiscono una quotidianità resa luminosa dall’amore e dalla bellezza, abbuiata però dal venir meno delle forze, dal presentimento della fine, che tuttavia non si porterà via tutto quello che si è costruito: «Ma non abbiamo perso tutto quello / che avevamo costruito, niente di tutto ciò» p.94. Orazio ricorda in un esergo che si è mortali, ma non omnis moriar dice in un altro passo ben noto al poeta.
Maria Clelia Cardona