Il colibrì è uno degli uccelli più piccoli al mondo eppure ha la capacità di rimanere immobile a mezz’aria con il suo frenetico battito di ali, tra i dodici e gli ottanta al secondo, la sua immobilità è solo apparente perché è il risultato di un lavoro frenetico.
Marco Carrera, protagonista dell’ultimo romanzo di Sandro Veronesi, è appunto il colibrì, così soprannominato da sua madre a causa della sua corporatura e della sua altezza, inferiori alla media dei ragazzi della sua età, problema che recupererà con una cura a base di ormoni e che in pochi mesi gli farà conquistare prodigiosamente 16 cm di altezza.
Marco riuscirà ad avere il dono dell’immobilità durante la sua esistenza, nonostante tutte le immense disgrazie che lo colpiranno, lutti atroci, malattie terribili, amori assoluti e difficili, amicizie inaspettate. Marco riuscirà a restare fermo, fedele a se stesso, ai suoi valori e impiegherà tutte le sue energie per sopravvivere.
Da ragazzo si è mosso per stare immobile, rifuggendo i cambiamenti così, mentre gli altri andavano avanti, lui era un resiliente tenace.
Ma è capace anche di risalirlo il tempo, per ritrovare quello perduto, quello della famiglia, dei genitori, legati in un matrimonio che è un’illusione di felicità, che ha bloccato l’inquietudine della madre, con sopportazione e bugie.
La sorella Irene, intelligente e tormentata, è il ricordo della giovinezza, modello di vita ma anche di rabbia, lei non ha il dono dell’ immobilità, lei è buio e confusione. Rappresenterà il primo grande dolore della vita di Marco.
Così, proprio perché Marco è volutamente immobile su se stesso, alla fine il Tempo, entità ineffabile che distribuisce a suo piacimento la vita e la morte, è protagonista assoluto del romanzo.
Ma il Tempo è anche una prigione di massima sicurezza.
Allora Veronesi compie il montaggio della storia, solo apparentemente, in maniera causale.
In realtà è stato, a mio avviso, meditato in maniera estremamente geniale, conferendo a ogni singola scena una precisa etichetta temporale, tanto da regalare alla storia di Marco Carrera la solennità di un annuario.
Alla fine IL COLIBRI’ risulta un album di famiglia, un patchwork di pezzi di vita che, quando il lettore le ricuce in retrospettiva, riesce a ricostruire dramma e gioie di una vita, che se n’è andata via troppo in fretta.
Ho trovato entusiasmante l’architettura del romanzo, solo apparentemente casuale, perché non sai mai cosa accadrà nella pagina seguente e questa imprevedibilità ti tiene incollato, pagina dopo pagina.
Geniale la presenza di lettere d’amore, mail, inventari del mobilio della casa paterna e tutto ciò che ha rappresentato la vita di Marco, in un tentativo affannato e dolcissimo di ricostruzione della sua vita, del suo passato, nel provare a comprendere ciò che non ha capito, ciò che gli è sfuggito, ciò che ha solo intuito.
Bellissimo il disperato dialogo epistolare con il fratello lontano, che continuerà a non rispondere, nel tentativo di salvare qualcosa di quella che è stata la loro famiglia, il ricordo dei genitori e della sfortunata sorella.
Meravigliose le mille e mille lettere d’amore scritte al suo amore di sempre, Laura, impossibile, adorato, mai consumato e, forse, proprio per questo, resterà immobile nel tempo, da togliere il fiato.
Un romanzo in cui Veronesi parla di amore, di dolore, ma soprattutto di forza
in maniera magistrale.
Infinite le citazioni musicali, cinematografiche e letterarie. A conclusione del libro c’è un’interessante postilla dell’autore che spiega come sono nati termini, luoghi e situazioni di questo romanzo.
Citando Alessandro Piperno ” Se c’è una cosa che avverti all’impronta è l’odore di buono che emana un buon libro” e leggendo IL COLIBRI’ “basta una sniffatina come si deve per dire a te stesso con sollievo: eccolo qui, l’odore di buono che cercavi.”