Una Pescara notturna dai tratti nostalgici. Si respirano ancora gli anni ’90 in cui la linfa artistica era davvero favolosa ed eccitante. Anime colme di sogni, sesso, erotismo, amore, rabbia giovanile e desiderio d’eternità. Due antiche vie cittadine vestite dagli esperti sarti della spensieratezza. Locali a non finire, musica, alcol, risate e chiacchiere di apprendisti stregoni della società: giovani sguardi alla ricerca del proprio senso nel mondo. E tra questa magia colorata e disinibita, passeggiando, vengo attratto da un’instancabile e possente rullata di batteria. Voltandomi ne scopro l’origine: un piccolo ma storico e fascinoso live club, il Mamiwata, sta ospitando un concerto, uno dei tanti della zona, ma qui sembra accadere qualcosa di diverso. Forse una oscena sensazione, o soltanto la fame di musica e sudore, ma decido di entrare. La curiosità è un’amabile stronza. Un’ondata di decibel scaraventa la mia mente nei meandri della notte. Un mix letale di Rap, Trap, Hip Hop, Nu Metal e Rock mi appare servito su di un vassoio. Questo drink mi disseta. Un drink oscuro ma dolce, irruente ma elegante, dai tratti schizofrenici.
Mi avvolge e mi lascio trasportare. Tre ragazzi. Una passione viscerale, quasi la si riesce a sfregare con mano. Sezione ritmica abbandonata totalmente nelle mani esperte e pesanti di Francesco che smembra letteralmente l’aria a suon di colpi ed espressioni estasiate. Mai abbandono fu più riuscito. Le corde della chitarra nelle dita di Edoardo, fascinoso e glam, che riesce a danzare tra generi come fossero semplici dadi da lanciare su di un tavolo da gioco clandestino. I suoi sostegni vocali ben studiati e le basi da lui controllate donano modernità ed eccentricità a un sound già di per sé pieno e accattivante. Luigi: il frontman. Luigi: il folle. Luigi. Intona il suo Rap in maniera impeccabile come fosse uscito da un vecchio film “gangsta” americano nella leggendaria Harlem. Ed ecco che rimbalza invece su tonalità inaspettate, per poi planare tra note dolci e colme di pathos. Quasi a prendersi in giro. Lui con sé stesso. Lui con la band. Lui con il pubblico. Un sorriso con la maschera di un ghigno che cerca di sfidare il futuro a suon di rime taglienti e pungenti. Una rabbia espressa divertendosi. Non è da tutti. Questa sera, “sul podio” Luigi c’è salito. Nonostante il mancato sold out, le persone ne sono rimaste stregate e continuavano imperterrite ad incitare la band. Io, in un angolo, con il mio bicchiere di rosso assistevo alla scena. Tre giovani ragazzi con un fottuto e arrogante desiderio di portare la propria musica in giro per questo maledetto e misterioso stivale. E questa sera, con i loro volumi abominevoli e la loro innocente rabbia, hanno sballottato una piccola parte di questa città. La Pescara notturna dai tratti nostalgici che li ha ospitati. La loro arte ha un nome, così come la loro ambizione. Loro sono gli “MST”. Certo, ho notato anche aspetti da migliorare e curare, noiosi ma essenziali sbattimenti tecnici, un equilibrio che ancora manca, soprattutto quando vieni catapultato nei preziosi ma piccoli live club in cui devi dimostrare davvero chi sei e cosa vuoi. Lì nulla si può camuffare dalle luci della televisione o dai riflettori di un grande palco. Ma sono ancora giovani, per il momento “quasi tutto” è perdonato. Cresceranno e li terrò d’occhio. Questi “MST” sanno divertirsi scrivendo della buona musica. Ed è proprio questa caratteristica ad avermi attratto maggiormente. Li vedevo sorridenti nonostante la loro musica tirasse schiaffi e pugni ai nostri demoni atterrandoli. E questa genuinità non la percepivo da molto tempo. Un dono che spero non venga mai barattato durante il loro percorso artistico. Sarebbe un gran peccato!
Amen
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CRIS ALLINSON