“Gattaca – La porta dell’universo”: un incubo distopico sulla perfezione

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In un futuro non molto lontano è possibile, mediante un processo di selezione genetica, far nascere esseri umani con un dna impeccabile. Per via di questa possibilità, la società è suddivisa in due classi: i validi, ovvero gli essere umani creati in laboratorio e, quindi, destinati a importanti posizioni lavorative e i non validi, ovvero i nati secondo natura e, per questo, relegati a mansioni di poco conto e al margine della società. Tra i non validi c’è Vincent (Ethan Hawke) al quale, fin dalla nascita, sono date poche possibilità di vita oltre i trent’anni. Ma Vincent, una volta adulto, vuole riuscire a realizzare il suo sogno: entrare nel centro di ricerca spaziale di Gattaca e, così, diventare un astronauta. Per far ciò Vincent si affida ai metodi illegali di German (Tony Shalhoub) che gli fa assumere l’identità e il corredo genetico di Jerome (Jude Law), un valido diventato paraplegico dopo un incidente. Vincent riesce così a entrare a Gattaca ma, dopo qualche tempo, la sua vera identità di non valido rischia di venire scoperta.

Scritto e diretto vent’anni fa da Andrew Niccol (Sceneggiatore di The Truman Show e regista di S1m0ne e In Time), Gattaca – La porta dell’universo (Gattaca, 1997) è un’opera di sci-fi che non mira solo ed esclusivamente al puro entertainment delle masse spettatoriali (nonostante il gioco di parole del titolo stesso, composto dalle iniziali delle basi azotate del dna, ovvero adenina, guanina, citosina, timina sia un piacevole easter egg) bensì a far riflettere sulle possibilità della scienza nonché sui relativi limiti etici e morali contro cui la stessa ricerca scientifica spesso va a scontrarsi. Se è vero che Gattaca rimane pur sempre un prodotto cinematografico appartenente al genere della fantascienza pura, è giusto anche riconoscere che l’opus n. 1 di Niccol è figlia degli anni Novanta e degli sviluppi delle ricerche genetiche raggiunti durante quegli anni (basti pensare, su tutti, al primo caso di clonazione animale avvenuto nel 1996 con protagonista la pecora Dolly). Da una parte riflesso della cronaca scientifica dell’epoca, dall’altra parte puro lavoro cinematografico, Gattaca e le sue tematiche biopunk, aprono un ventaglio di riflessioni esistenzialiste che vengono a collidere con le branche della sociologia, della psicologia, dell’antropologia e – perché no? – anche della filosofia.

Se fosse possibile davvero programmare la nascita di un essere perfetto, privo di sbavature, intelligente, con un ottimo carattere, sano ed epurato da ogni più basso istinto ancestrale, come quello della violenza, la società sarebbe migliore? e il mondo si trasformerebbe in un posto idilliaco? Questi sono i due principali quesiti che ogni spettatore sicuramente si pone dinnanzi a un lungometraggio come Gattaca che, piuttosto che assumere le sembianze di un sogno, è la messa in immagini di un incubo distopico sulla perfezione: il protagonista del film di Niccol, il Vincent/Jerome incarnato in modo asciutto da Ethan Hawke, è il diretto prodotto di una fittizia società elitaria, di creature create in laboratorio, tra becher, pipette e campioni di dna. Solo che lui non appartiene alla classe perfetta, ai validi, ma è originario dell’universo dei non validi, dei reietti, di quelli non idonei a far parte dei cosiddetti piani alti e in preda delle emozioni, dei sentimenti e anche degli istinti della naturale origine. Vincent è una mina vagante pronta ad esplodere all’interno di un habitat asettico e privo di errori, un essere umano capace di sporcarsi le mani del sangue altrui pur di non rinunciare al suo personale obiettivo di raggiungere lo spazio.

Contaminato dagli stilemi del noir, del thriller e dell’hard boiled, Gattaca – La porta dell’universo è un dibattito su etica e bioetica, sulle capacità di raggiungere importanti traguardi della ricerca biologica ma – al contempo – è la diretta messa in scena di cosa potrebbe succedere nel momento in cui si gioca a fare Dio. Costruito su un background fantascientifico di origine letteraria (non mancano gli echi ai vari Ray Bradbury, George Orwell, Aldous Huxley) e sorretto da un cast eccezionale, da una regia semplice ma funzionale, una scenografia a metà strada tra il postmoderno e il vintage e una fotografia nitida e a volte dai toni virati sul seppia, Gattaca – La porta dell’universo è un’opera cult immancabile all’appello per ogni cinefilo e per ogni amante degli scenari di un futuro prossimo venturo  inquietanti e – contemporaneamente – riflessivi che la sci-fi distopica è capace di creare.

- 11/12/2017

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