“First Reformed”: la solitaria solitudine dell’uomo contemporaneo

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Ex cappellano militare, il reverendo Toller (Ethan Hawke) è alla guida della prima chiesa riformata dello Stato di New York. Di giorno officia i suoi doveri di pastore, di notte, invece, Toller annota i suoi pensieri su un diario, nel quale riversa anche il profondo senso di colpa per la morte del figlio avvenuta in Iraq. Un giorno, alla fine della messa, Toller riceve la richiesta di aiuto di Mary (Amanda Seyfried), una sua fedele preoccupata per le sorti del marito Michael, convinto ecologista che, spesso, si mette nei guai con la legge. Toller accetta di aiutare la coppia e, dopo non molto, viene a conoscenza della volontà di Michael di non far venire alla luce il figlio che aspetta da Mary. Inizialmente perplesso dopo non molto tempo il reverendo inizia a vacillare nelle sue convinzioni, chiedendosi se dietro i discorsi apocalittici di Michael ci sia una verità suprema che viene ignorata.

Sceneggiatore di ferro come pochi e regista di opere controverse che, nonostante tutto, hanno lasciato il segno nella storia del cinema, Paul Schrader sembrava aver detto tutto, specialmente dopo il passo falso compiuto con la spy story Il nemico invisibile. Eppure, lo screenwriter del capolavoro Taxi Driver e autore del cult American Gigolò è riuscito ad aggiungere un ulteriore tassello alla sua filmografia dimostrando, così, di avere ancora tanto da dire. Con First Reformed – La creazione a rischio (First Reformed, 2017) Schrader è tornato a sondare quel lato oscuro e nascosto dell’umanità. Fin da subito è necessario – anzi, è obbligatorio – dire che First Reformed non è un film per tutti, specialmente per lo spettatore abituato – solo ed esclusivamente – all’entertainment blockbuster.

L’ultima fatica del regista di Affliction, difatti, è un’opera cinematografica d’altri tempi sia per quanto concerne l’aspetto scenotecnico (l’utilizzo di numerosi piano sequenza, carrellate lente, close up, primi e primissimi piani) che guarda ai classici della Settima arte, sia per l’ermetismo contenutistico in nuce. Per comprendere pienamente il nuovo lungometraggio di Schrader è necessario liberarsi della errata (e banale) chiave di lettura religiosa: First Reformed non è un film sulla religione, né tantomeno sulla fede; semmai è un viaggio di sola andata che, lentamente, mette sotto la lente la solitaria solitudine dell’uomo contemporaneo. Ciò nonostante gran parte della vicenda graviti attorno al ruolo del reverendo protagonista nonché all’ambiente ecclesiastico, First Reformed è un’acuta analisi sul disagio e sul malessere esistenziale del XXI secolo che, in primis, prende le forme dell’in(capacità) di comunicare, veramente, con il prossimo.

Ed è questa (apparente) impossibilità che porta Toller a consumare la sua vita tra l’insuperabile senso di colpa per la morte del figlio, la sua malattia e lo smarrimento del presente di fronte a un microcosmo fatto di emarginazione, sofferenza e solitudine poiché in un mondo pieno di voci è sempre più difficile riuscire a far sentire la propria. Tra approfondimento psicologico e messa a nudo dell’animo umano, First Reformed si trasmuta in presa di coscienza dell’uomo condannato all’isolamento nonostante faccia parte della società, collettività relazionale e interattiva in cui, purtroppo, a volte vige la più totale indifferenza verso l’altro da sé. È una sorta di Via Crucis quella posta al centro di First Reformed, un arduo e difficile cammino appesantito dal dubbio e, al tempo stesso, dalla scelta di un atto di extrema ratio a metà strada tra il martirio cristianologico e la più pura follia accantonato, sul filo del rasoio, nel momento in cui le solitudini umane si incontrano e iniziano, finalmente, a dialogare poiché, parafrasando una massima contenuta nelle pagine di uno dei romanzi di Dino Buzzati, solo nella solitudine è possibile parlare di certe cose.

- 29/10/2018

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