Adam Bell (Jake Gyllenhaal) solitario e apatico professore di storia, trascorre le sue giornate tra lavoro, monotonia e incontri con la sua ragazza Mary (Mélanie Laurent). Un giorno, durante una pausa dalle lezioni, Adam scambia qualche parola con un collega il quale, dopo qualche domanda, gli consiglia di vedere un film. Incuriosito Adam noleggia il dvd e, guardando attentamente una scena, si rende conto che tra le comparse c’è un attore identico a lui. Incapace di darsi una spiegazione logica, Adam effettua alcune ricerche che lo portano a conoscenza del suo sosia, tale Anthony Claire (sempre Jake Gyllenhaal). Sempre più confuso Adam comincia a indagare su Anthony e, dopo una serie di telefonate, i due si incontrano. A complicare ulteriormente la situazione ci pensa Helen (Sarah Gadon), la moglie di Anthony che ha scoperto l’esistenza di Adam.
Può un film inquietare e spaventare, per tutta la sua durata, senza far ricorso a neanche una goccia di sangue ed a jumps scare? La risposta è sì e, per riuscire a realizzare un’opera del genere, ci voleva un visionario e anticonvenzionale regista come il canadese Denis Villeneuve, vera rivelazione autoriale degli ultimi anni, che con Enemy (id., 2013) è riuscito a centrare l’obiettivo di creare tensione con poco. Tratto dal romanzo L’uomo duplicato (O homem duplicado, 2002) di José Saramago, il sesto film di Villeneuve è un thriller psicologico criptico e difficile da interpretare ma che, nonostante tale affermazione, presenta contemporaneamente la possibilità di venire a capo del mistero di identità posto al centro della storia. All’insegna del cinema di Alfred Hitchcock, David Lynch e – per alcuni versi – Stanley Kubrick, Enemy è una vera prova di intelletto che richiede allo spettatore di ragionare, di pari passo, durante la visione.
Se come afferma la frase in apertura dello stesso Saramago che «Il caos è un ordine non ancora decifrato», bisogna partire da tale presupposto per poter procedere, lentamente, nella potenziale e caotica soluzione dell’enigma. Vero è che il tema del doppio, di quel doppelgänger tanto folkloristico/mitologico quanto letterario non è certamente nuovo al cinema tuttavia, nelle mani di Denis Villeneuve, assume una valenza alquanto interessante. L’incontro/scontro di esistenze che prende le mosse in Enemy non si riduce a semplici e banali soluzioni come, magari, quella di un fratello gemello oppure di un lungo e realistico sogno (nonostante le sequenze oniriche, brevi e intense, non manchino di certo).
Sebbene la storia proceda in maniera dicotomica, mostrando in montaggio alternato le esistenze di Adam e Anthony in modo tale da offrire più chiarezza possibile, per carpire pienamente l’essenza di un’opera cinematografica come Enemy è necessario accantonare ogni possibile ragionamento basilare poiché, dietro l’apparente nonsense si nasconde molto di più. Anche se il regista semina con parsimonia rilevanti indizi che, spesso, possono anche non essere percepiti, per comprendere e godersi pienamente Enemy è necessario abbandonarsi a un approccio prettamente e squisitamente psicoanalitico il quale, ciononostante, potrebbe rivelarsi del tutto inutile. La domanda più grande rimane solo una: cosa è vero e cosa è falso in Enemy? Poiché se da una parte è chiaro che Adam e Anthony molto probabilmente siano la stessa persona (fate caso all’iniziale del nome e quella del cognome che differiscono di una sola posizione nell’alfabeto) e non frutto di misteriosi e taciuti legami di sangue bensì la rappresentazione di quell’eterno scontro tra Io, Es e Super Io di matrice freudiana che sembra voler dire ad Adam/Anthony “attento! Il nemico è dentro di te”, dall’altra tale convinzione viene quasi a cedere e traballare nel momento in cui, senza avvertimenti o segnali alcuni, vengono a galla ulteriori particolari
Forse non basterebbero interi volumi sulla psicanalisi e la psicologia per dare un vero significato – in toto – ad Enemy, così come non basta una singola visione completa per cogliere tutte le sfaccettature e il simbolismo (a volte mostrato, a volte quasi celato) presenti all’interno di uno dei lungometraggi più spiazzanti e claustrofobici degli ultimi anni, capace di reggere tutto il suo crescendo di tensione sulla sottile e in(visibile) tela di ragno che lega le esistenze – reali o immaginarie – dei due uomini dallo stesso volto ma dalle vite differenti. Con un cast di attori e attrici scelti capitanati dal sempre più bravo Jake Gyllenhaal qui (sud)diviso in un doppio ruolo, una fotografia virata sul giallo e sul seppia volta ad accrescere il senso di straniamento, una location urbana (Toronto) quasi asettica, silenziosa e oppressa da una coltre d’afa, una colonna sonora sapientemente composta e la sempre solida ed eccezionale regia di Villeneuve, Enemy se la gioca (per tensione e contenuti) ad armi (quasi) pari con Prisoners (id., 2013) mentre per le speculazioni teoriche con il sci-fi Arrival (id., 2016), altre due imponenti opere villeneuviane.