Paul Safranek (Matt Damon) è un modesto fisioterapista per le aziende con dipendenti che svolgono mansioni fisicamente faticose. Stanco delle ristrettezze economiche decide, insieme a sua moglie Audrey (Kristen Wiig), di farsi rimpicciolire grazie a una procedura messa a punto una decina di anni prima da uno scienziato norvegese. Scopo di tale operazione è quello di ridurre i costi della vita. Tuttavia, una volta effettuato tale processo nei laboratori statunitensi, Paul si ritrova solo in quanto sua moglie, all’ultimo momento, ha avuto un ripensamento. Spaesato, abbandonato e alto solo pochi centimetri, Paul deve fare i conti con la nuova vita nella colonia dei miniaturizzati, dove fa la conoscenza dell’eccentrico Dusan (Christoph Waltz), dell’amico di questi Konrad (Udo Kier) e di Gong Jiang (Hong Chau), una dissidente vietnamita entrata illegalmente negli Stati Uniti. L’incontro con il trio, però, è solo l’inizio di un’avventura molto più grande.
Dopo aver esplorato le solitudini umane e sentimentali in A proposito di Schmidt, attraversato l’America on the road ad alto tasso alcolico in Sideways – In viaggio con Jack e Nebraska e, successivamente, messo sotto la lente gli aspri e nascosti altarini famigliari con Paradiso amaro, il regista Alexander Payne, classe 1961, al suo ottavo lungometraggio ha deciso di confrontarsi e mettersi in gioco con una commistione di generi: frutto di tale esperimento autoriale è Downsizing – Vivere alla grande (Downsizing, 2017). Commedia dai toni grotteschi che si incrocia (e si mescola) con la fantascienza distopica, Downsizing è forse, con molte probabilità, il decisivo passo in più di un autore come Payne. Se il plot magari non brilla per eccessiva originalità, con notevoli influenze di tanta cinematografia e letteratura di genere, il nuovo lavoro di Payne racchiude in sé tematiche non scontate e attuali. Il leitmotiv che fa da sfondo all’intero film è quello ecologista e di rispetto verso la natura, ed è proprio su questo perno principale che Downsizing fa leva per porre all’attenzione dello spettatore argomenti, oggi come oggi, scottanti: a partire dalla presidenza di Donald Trump e la sua politica di tolleranza zero verso immigrati e cittadini irregolari, gli scontri razziali che, nonostante ci si trovi nel XXI secolo, appestano ancora il globo, le svariate crisi economiche e, infine, la salvaguardia di un mondo naturale quasi sull’orlo del collasso. Se le prime due trattazioni sono, in qualche modo, filtrate attraverso un tagliente humour le altre due, invece, sono onnipresenti in Downsizing: per sopperire alla mancanza di denaro, per permettersi uno standard qualitativo più adeguato alle proprie necessità e, così, non privarsi di nulla, basta diminuire le dimensioni e, con esse, la sperequazione tra classi sociali. L’evoluzione (in scala ridotta) dell’umanità in Downsizing assurge al rango di metafora non solo ed esclusivamente incentrata su quel benessere a lungo sognato e inseguito da una moltitudine di soggetti bensì, di pari passo, avanza la sua visione di insieme con il raffronto di una natura da salvare.
Nonostante l’occhio del regista (e della macchina da presa) non si discosti un attimo dall’impianto ecologista e armonioso posto in essere al centro di Downsizing, Payne fa in modo che ne derivi lo stesso un messaggio allarmante ovvero quello che, anche se si gioca ad essere “dio” tra laboratori, provette, macchinari e scoperte incredibili, la riduzione di dimensioni di un corpo umano, se da un lato garantisce la diminuzione di consumi e inquinamento dall’altro lato, tuttavia, la natura socializzante e societaria dell’uomo rimane intatta, trascinando dietro il nuovo sé e nel micro habitat tutti i vizi, gli eccessi e i lati peggiori già presenti (e vissuti) nel precedente macro mondo. Mettendo da parte l’aspetto decisamente da sci-fi, Downsizing, in fondo, non è altro che un lavoro scisso in due: la voglia del nuovo, del non visto che si scontra con la conoscenza del già visto, del già vissuto e, parimenti, la proiezione di tutto ciò che, spesso, fa capolino tra i desideri di molti come l’uguaglianza, l’annullamento di ogni discriminazione e barriera sociale, la sicurezza di una vita dignitosa e, infine, il sogno di un pianeta che venga rispettato e non smembrato e violato come – purtroppo – accade giorno dopo giorno nella realtà quotidiana.
Tagliente e interessante satira senza filtri alcuni Downsizing, nonostante l’alleggerimento narrativo effettuato mediante l’oramai ben consolidato humour payneiano, si conferma come un’opera di certo non banale e che, in ultima istanza, offre uno spunto riflessivo ma dai toni – decisamente – senza speranza: forse, l’unica vera soluzione al disequilibrio esistenziale umano è quello di un inizio ex novo, una tabula rasa che dalla natura stessa dovrebbe avere origine e che, grazie proprio a Madre Natura, un giorno renderà possibile dimenticare tutti i fallimenti e i difetti dell’intera umanità sempre più sull’orlo del baratro.