La lettura di una poesia di Gabriel García Márquez ha diviso i commentatori, qualcuno la trova addirittura banale, quasi impoetica. Ho letto con calma la poesia. E mi è sembrata bellissima. Ho spiegato le mie ragioni ai commentatori: e qui le copio e le incollo. E premetto la poesia, ma senza traduzione. Trascrivo poi il romance tutto di seguito perché se ne colga meglio la forma. García Márquez lo divide in quartine, come anche altri poeti fanno. Ma la forma senza soluzione di continuità rende meglio il carattere del romance. E si coglie meglio il perpetuarsi di un’unica assonanza: a-e.
POEMA DESDE UN CARACOL
Yo he visto el mar. Pero no era
el mar retórico con mástiles
y marineros amarrados
a una leyenda de cantares.
Ni el verde mar cosmopolita
— mar de Babel — de las ciudades,
que nunca tuvo unas ventanas
para el lucero de la tarde.
Ni el mar de Ulises que tenía
siete sirenas musicales
cual siete islas rodeadas
de música por todas partes.
Ni el mar inútil que regresa
con una carga de paisajes
para que siempre sea octubre
en el sueño de los alcatraces.
Ni el mar bohemio con un puerto
y un marinero delirante
que perdiera su corazón
en una partida de naipes.
Ni el mar que rompe contra el muelle
una canción irremediable
que llega al pecho de los días
sin emoción, como un tatuaje.
Ni el mar puntual que siempre tiene
un puerto para cada viaje
donde el amor se vuelve vida
como en el vientre de una madre.
Que era mi mar el mar eterno,
mar de la infancia, inolvidable,
suspendido de nuestro sueño
como una Paloma en el aire.
Era el mar de la geografía,
de los pequeños estudiantes,
que aprendíamos a navegar
en los mapas elementales.
En el mar de los caracoles,
mar prisionero, mar distante,
que llevábamos en el bolsillo
como un juguete a todas partes.
El mar azul que nos miraba,
cuando era nuestra edad tan frágil
que se doblaba bajo el
peso de los castillos en el aire.
Y era el mar del primer amor
en unos ojos otoñales.
Un día quise ver el mar
— mar de la infancia — y ya era tarde.
Gabriel García Márquez
La poesia è bellissima, ma non bisogna leggerla come poesia che voglia comunicare chi sa che emozione poetica. Il finale – solo apparentemente banale, risaputo – spiega tutto. Spiega soprattutto come la poesia è stata costruita. Lasciamo perdere la traduzione, che è fuorviante, perché attira il lettore sul significato della parole e non sulla loro allusività. Guardiamo il testo spagnolo. La forma è quella di un romance, con l’assonanza a-e in tutti i versi pari. È la forma delle ballate popolari, dei racconti cavallereschi e delle leggende popolari. È la forma dei dialoghi nel teatro. E il teatro spagnolo nasce dal romance. Se noi, invece di dividere la poesia in quartine di ottosillabi la dividiamo in strofe di due versi di 16 sillabe, otteniamo la stanza dei cantari monorima. Come El cantar de mio Cid. Ma anche come molti racconti delle commedie di Lope de Vega. In questa luce la poesia acquista il suo vero significato. Che non è di sfogo lirico: smettiamola di cercare nella poesia sempre lo sfogo lirico. Distruggeremmo tanta poesia, quella satirica, quella politica, quella comica, ecc. ecc. Il tono di cantare popolare è sentito come affine da García Márquez. Anche la sua prosa, così fantasiosa, inventiva, barocca, ha l’andamento di un cantar. Gli ultimi versi chiariscono il senso della poesia, dicevo. Ma come? obietterà qualcuno, un’immagine così ovvia, un’emozione così “sentimentale”? Immagine ed emozioni da ballata, da cantar. All’interno di questa struttura ci sono poi i punti di rischio, le espressioni imprevedibili, che ne denunciano il carattere più che letterario, iperletterario, quasi come una esercitazione che rievoca forme antiche (la prosa di Márquez rievoca la logorrea delle nonne che raccontano).: el mar inútil que regresa, una canción irremediable, que perdiera su corazón / en una partida de naipes, mar prisionero, mar distante, / que llevábamos en el bolsillo / como un juguete a todas partes. E viene fuori che non è il mare azzurro che rimpiange, ma il mare artificiale delle conchiglie, che gli ricordo non l’azzurro vero del mare vero, ma l’azzurro sognato del mare dell’infanzia, irreale, ricordato, e non più vissuto. Ci sarebbe molto altro ancora da dire. Questi sono solo cenni. Ma la poesia, quando è poesia, e questa lo è, non ha un solo livello di lettura, tanto meno il primo, del senso appena afferrato, dell’emozione provata o non provata, ma tutti i piani, tutti i livelli di lettura, anche quelli che a una prima e frettolosa lettura sfuggono. E, tanto per cominciare, più che con il significato delle parole – che spesso la poesia smentisce – una poesia va letta per come è scritta. non ultimo la metrica, il tipo di verso, la scelta stilistica del lessico. Proprio la lettura della costruzione metrica, dell’ambiguità lessicale tra popolare e colto, dovrebbe farci capire che stiamo leggendo una poesia assai complessa, che proprio per come è scritta dice molto di più di ciò che sembra dire a una prima e frettolosa lettura. E si badi al titolo: poema desde un caracol, poesia DA una conchiglia. Come se la parole uscissero dalla conchiglia. Esattamente come il rumore del mare, quel rumore che per il poeta è il mare, il vero mare. Non la vista e l’ascolto del mare vero su una vera spiaggia.
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