“Coco”: un’avventura tra sogni, colori, allegria e vita ultraterrena

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Miguel, ragazzino come tanti ma con un sogno da realizzare, vuole diventare a tutti i costi un musicista come il suo idolo, Ernesto de la Cruz. Purtroppo, l’unico ostacolo che si frappone tra la sua passione e il concretizzarsi di questa, è il fatto che nella sua famiglia, da generazioni ormai, la musica è bandita da quando la sua trisnonna Imelda e la figlia Coco sono state abbandonate dal marito e padre musicista. Durante la festa del Día de Muertos, Miguel fugge dalla sua famiglia per partecipare a una gara di mariachi e, preso possesso della chitarra che fu di de la Cruz, da quel momento vive un’esperienza unica: il ragazzino diventa invisibile agli occhi delle persone in vita ma visibile ai defunti, tra i quali i suoi parenti deceduti. Ma questo è solo l’inizio di un’incredibile avventura nel mondo dell’aldilà.

Può un film far ridere e commuovere allo stesso tempo e, non appena l’ultima scena lascia spazio ai titoli di coda, ritrovarsi con gli occhi bagnati di lacrime scaturite da entrambe le reazioni emotive? Sì, e la risposta è contenuta nel nuovo, immenso gioiellino d’animazione a marchio Disney-Pixar. Per lasciarsi andare a questa dicotomia emotiva bisogna accantonare quella analogia, a volte stereotipata, del film d’animazione equiparato solo ed esclusivamente all’intrattenimento per bambini. A scardinare tale erronea convinzione ci hanno pensato Lee Unkrich e Adrian Molina con Coco (id., 2017), lungometraggio sì d’animazione ma che affronta temi come l’unione famigliare, la realizzazione dei propri sogni, il fervore per le passioni e, contemporaneamente, anche questioni molto più delicate quali quelle della morte e dell’oblio che, a volte, ne consegue.

Riuscita commistione tra fantasy, commedia, dramma, avventura e musical, Coco fa tabula rasa dei predecessori usciti dalla factory di John Lasseter & Co., in modo tale da ampliare i propri confini cinematografici e visivi a dismisura. Coco è un lungometraggio colorato, vivido, vibrante di una vita senza eguali, è la rappresentazione, da un lato, di quell’eterna voglia di realizzare qualcosa, di concretizzare uno o più sogni, di quella forza che (so)spinge chiunque ad andare oltre e non accontentarsi solo ed esclusivamente di ciò che la realtà (o in questo caso, la volontà altrui) offre. Miguel è il classico adolescente pieno di fantasia e fervore, che non cede davanti ai dinieghi dell’amata nonna ma, piuttosto, cerca in tutti i modi di fuggire dalle ferree regole che si tramandano da anni ormai. Nella figura di Miguel è insita quella del sognatore ad occhi aperti che, attenzione, non significa che lavori solo di fantasia bensì è proprio grazie a questa pulsione che le vicende di Coco prendono le mosse.

Se da un lato la musica è il leitmotiv che collega i pilastri portanti alla struttura del film, dall’altro lato è questa ribellione scaturita dall’amore stesso per la musica che permette a Miguel di vivere un’esperienza sul confine di due mondi, di due universi che, nonostante siano opposti, convivono perennemente uno di fianco all’altro: quello della vita, fatto di persone in carne ed ossa, che si muovono, vedono, sono senzienti, e quello della morte, luogo (forse) immateriale, al quale è legato un immaginario collettivo triste, buio, disperato e in cui, probabilmente, ad aspettare c’è solo il nulla. Introducendo usi e costumi del Messico, in particolare la festività del giorno dei morti, il Día de Muertos che, piuttosto che essere un silenzioso e religioso raccoglimento in onore dei defunti, si trasforma in una festa nel vero senso del termine, lasciando spazio sì alla celebrazione ma in modo gioioso con candele, luci, fiori, banchetti, musica e fuochi d’artificio in suffragio ai propri cari che non ci sono più. Solo così e mediante l’allegria i ricordi possono prendere forma e far “vivere” chi è passato a miglior vita.

Oltre a mettere sotto la lente il fuoco passionale insito in ogni persona Coco, con un tocco sempre delicato, umoristico e mai irrispettoso, mette lo spettatore di fronte a tali argomenti tuttavia senza fargli provare angoscia o cupezza. Anzi, semmai tutto ciò gli permette di affrontare questi temi (in parte) ancora tabù con il sorriso sulla faccia poiché, è importante specificarlo, il film di Unkrich e Molina è un inno alla speranza rivolto verso quella possibilità di una vita altra dopo quella terrena che, forse, rispetto proprio a quella che viviamo ogni giorno, è molto più colorata e promotrice di incredibili sfaccettature. Un film che parla del trapasso, certo, ma anche dell’importanza del ricordo, di quella forza mentale ed emotiva che ci permette di rimembrare, sempre e ovunque, le persone che hanno fatto parte della nostra esistenza. Perché, in fondo, ricordare è come far (ri)vivere – nuovamente e infinitamente – cose e persone che non ci sono più. Ed è per questo motivo che il viaggio extracorporeo di Miguel, si trasmuta in un’avventura tra sogni, colori, allegria e vita ultraterrena che lo capacità della consapevolezza dell’importanza di vivere l’esistenza nel migliore dei modi, nutrendo le proprie passioni, materializzando i sogni e – soprattutto – stare sempre vicino a chi è veramente importante, a quelle persone a cui si è legati dallo stesso sangue, a quel nucleo famigliare che permette, senza dubbi alcuni, di riconoscere un posto speciale chiamato – semplicemente – Casa.

Opera divertente e commovente come poche negli ultimi anni, rivolta sia agli adulti sia ai bambini, Coco rappresenta quella definitiva marcia in più degli studi Pixar che, con maestria, sono riusciti a dar vita a un lavoro cinematografico in cui l’amalgama di puri e buoni sentimenti coinvolge mente e raziocinio, cuore e anima. Forse è azzardato e troppo presto per dirlo con certezza, ciononostante per Coco è davvero difficile trovare un’unica parola che lo identifichi e che non sia quella che, spesso, viene abusata erroneamente e utilizzata senza criterio, ovvero la parola capolavoro che, per questo meraviglioso film, è l’unica possibile da utilizzare.

- 17/01/2018

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