Il film “Chiara” della regista Susanna Nicchiarelli e frutto di una produzione italo-belga, presentato e in concorso alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è solo all’apparenza un documento storico e biografico.
È la storia di una delle tante lotte condotte dalle donne per ottenere visibilità concreta e riconoscimento di un duro lavoro supportato da aspettative, speranze e rivendicazioni condotte con impegno nel tentativo di contrastare la cecità di un mondo coniugato spesso al maschile e assai poco avvezzo a concedere anche il beneficio del dubbio all’altro sesso.
Chiara, giovane, ricca e colta nobile di Assisi, decide di abbracciare la vita di penitenza in povertà assoluta sulla scia delle gesta di Francesco sottraendosi alle mire paterne che la vorrebbero accasata in modo importante. A San Damiano riesce a radunare altre ragazze coetanee e donne di età adulta altrettanto desiderose di votarsi a una vita semplice e dedita alla cura degli ultimi. Chiara non ama il clamore inutile sollevato dalla sua vicenda umana e appare infastidita anche dalla risonanza prodotta nei suoi concittadini dai doni soprannaturali posseduti. Vorrebbe fondare un ordine consacrato alla diffusione della buona novella e condurre un’opera di dialogo ed evangelizzazione rivolta a tutti calata in concreto nella realtà, fatta di clausura “aperta” e ben lontana da un modus vivendi di mera contemplazione ascetica in solitudine. Auspicherebbe partire come Francesco per le crociate in Terra Santa ma glielo impediscono i pregiudizi altrui. È anche costretta ad accettare la regola benedettina e diventare badessa per poter preservare, seppure a fatica, il sogno di vedere riconosciuto anche per il suo neonato ordine il privilegium paupertatis già concesso alla persona che glielo ha ispirato. Desidererebbe anche condividere paritariamente di continuo e con sistematicità con i frati francescani una quotidianità di preghiera e di duro lavoro ma è costretta ad accettare le convenzioni dell’epoca e a farlo solo in minima parte. L’ultimo compromesso sarà quello di mostrarsi e ricevere con decoro durante la sua visita a San Damiano il cardinale Ugolino, divenuto nel 1227 papa Gregorio IX, per ottenere da questi l’approvazione della prima regola per sé e per le sue consorelle, da lei considerate sin da principio tutte eguali in una concezione radicale ma altamente inclusiva del ruolo di ciascuna e del valore di vera sorellanza.
Al di là di tutte le implicazioni conseguenti dalla trattazione della tematica religiosa contenuta nell’opera filmica, “Chiara” è il tentativo ben riuscito, dissacrante e graffiante e molto energetico, di dipingere il progetto di una giovane santa sognatrice ma con i piedi ben piantati in terra di istituire e, quindi, far riconoscere al mondo intero un modus operandi che qualcuno ha definito di femminismo e comunismo evangelico avulsi da scelte di potere e realmente attenti alle necessità degli invisibili.
Assai apprezzabile il lavoro linguistico al centro dei dialoghi e lo sforzo ben riuscito di far parlare i personaggi in un volgare dalle cadenze umbre (funzionale per evidenziare, se ancora ce ne fosse bisogno, il desiderio che accomunava Francesco e Chiara di rivolgersi in modo preponderante alla gente comune) alternato al latino delle sacre scritture e alla musicalità francese delle danze e dei canti che popolano alcune scene e che hanno la finalità di sottolineare la gioiosità e la libertà delle scelte dei personaggi.
Chiara è un film che non si accontenta di mietere tiepidi e facili consensi: piace o non piace. Lascia comunque un segno significativo e fa riflettere lo spettatore anche grazie a un’opera sapiente di contaminazione tra passato e presente molto più profonda e allusiva a una contemporaneità a oggi piena di troppe contraddizioni e di stereotipie di genere mai del tutto superate e sempre pronte a riaffiorare.
Lucia Guida