Avanguardia e no

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Ogni anno che finisce lascia domande inevase. Ogni anno che comincia, oltre a riproporre le stesse domande, ne formula anche altre, nuove, che restano anch’esse inevase. Questi ultimi anni, poi, tra epidemie e guerre, emigrazioni di cui non si vuole accettare l’inevitabilità, diritti violentati in ogi angolo del mondo, sembrano obbligarci a una permanete insoddisfazione, irrequietezza, come se la già quasi supinamente e diffusamente accettata provvisorietà della vita si facesse più percepibile, più inevitabile. Ma c’è la musica, c’è la poesia, dicono alcuni, che se non danno risposte, sembrano almeno costruire un rifugio sicuro, un anfratto riparatore, un angolo di consolazione. Ma è proprio così? La musica, la poesia consolano, riparano i guasti della vita, ci difendono dalla violenza degli altri? In questi giorni, dopo anni che vi mancavo, sono tornato in Andalusia. Ho visitato Cordova, Granada, Malaga. Sono rientrato nella stupefacente Moschea-Cattedrale di Cordova, nell’Alhambra di Granada, ho girato per i vicoli dell’Albaicín, ho visitato il museo Picasso di Malaga.

https://www.museopicassomalaga.org/en/exposiciones/dialogues-with-picasso

E proprio guardando i disegni, le pitture, le sculture di Picasso mi è venuto di riflettere sul senso dell’arte, della poesia, della musica, oggi. Al Centro Pompidou di Malaga, l’unico in Europa al di fuori della Francia, c’è una mostra del percorso figurativo di Lucio Fontana.

Sembrano opere della preistoria. La violenza polemica delle avanguardie è oggi anzi sostituita da una violenza simile dei suoi detrattori, dell’antiavanguardia. Tanto in arte, come in musica, come nella letteratura. Quasi un richiamo alla comprensibilità, appello di ritorno all’ordine (anche in politica). Perfino Stravinskij – quasi un gemello musicale di Picasso – sembra eccessivo. Ma siamo sicuri che per ritrovare un punto di riferimento, la riconoscibilità dei messaggi che l’arte, la poesia, la musica ci trasmettono, sia necessaria una contrapposizione tra l’audacia di sperimentare nuove forme e l’acquietante consenso che suscita il rientro nelle stanze già così comodamente abitate nel passato? E se invece tanto dall’una che dall’altra parte l’errore stesse nell’esclusione reciproca di impostazioni differenti dell’opera, anzi dell’operare dell’artista? Se proprio la molteplicità delle soluzioni formali testimoniasse invece la vitalità dell’arte, della letteratura, della musica? Un Papa, nel XIV secolo bollò – alla lettera: con una bolla – come “rumore” la musica dell’Ars Nova, forse la prima manifestazione consapevole di un atteggiamento di avanguardia, un po’ come più di un millennio prima i poetae novi latini. Nuovo, appunto, non ancora usato. La qualità testificata dalla novità. Il che, esteticamente, è una sciocchezza. Il nuovo non garantisce di per sé la bontà del risultato. Ma significa tuttavia qualcosa: che la ripetizione del già noto non produce più bellezza, bensì la banalizza. E mai come oggi, in quest’epoca di generale omologazione di tutti i parametri, ciò appare tragicamente vero. Allora, come uscirne? Picasso scrive che non esiste arte del passato, che tutta l’arte è arte del presente, altrimenti la pittura pompeiana non desterebbe la nostra ammirazione.

Qualcosa di analogo sostiene Stravinskij, Pulcinella ne è quasi il manifesto. Come il Sacre lo era della riproposta del ritmo quale cellula generatrice di ogni musica (ma lo diceva anche Rossini!). Dopo di che, allo stesso modo di come è utilizzata la forma barocca, può essere utilizzata la serie di Webern, e nasce un capolavoro come Agon. O il Monumentum Gesualdi. Ma Josquin, tra XIV e XV secolo, che altro faceva se non reinventare gli “artifici” contrappuntistici di Ockeghem? L’Ars Nova di Vitry e di Machaut era stata così poco ”rumore” che si era sviluppata nella polifonia fiamminga, e questa era stata rimodellata da Josquin. E sarebbero venuti Palestrina, Monteverdi, Bach. Non penso che oggi, e non solo per quanto riguarda la musica, ma soprattutto per la musica, accadrà diversamente. Basta che nasca un Bach. O uno Stravinskij, O un Boulez. O un Britten. O un Adams. O chi si vuole: basta che sia per davvero un musicista.

- 31/12/2022
TAGS: critica

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