Addio, Peter, sapere che c’eri ci faceva più vivi

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Oggi il teatro piange la scomparsa di uno dei suoi grandi maestri, anzi di un mago, come Prospero, che dal niente, una tavola, un cerchio, una piazza romana, una cava di marmo dismessa in Provenza, sa evocare e inventare infiniti mondi: Peter Brook. Tra le tante emozioni indimenticabili, ricordo un Amleto all’Arsenale di Venezia (e decenni prima un Sogno di una notte di mezza estate),

Hamlet (un giovane e bravissimo attore nero)

una Conferenza degli uccelli in una spianata vicino a Piazza Mazzini, in Via Sabotino, a Roma, un Mahabharata nella cava di Boulbon ad Avignone (poi ne fece un bellissimo film), un Marat-Sade con una indimenticabile Glenda Jakcson, improbabile Charlotte Cordey che fustiga il Divino Marchese con i suoi capelli, indimenticabile, del resto, tutto il film, e tante altre cose ancora.

Mahabharata, dove il gioco gioca con la vita, e il gioco del teatro (the play) gioca con noi.

Che cosa abbiamo imparato da lui? Essenzialmente due cose. Una, che il teatro è il luogo di un accadere, non un edificio, qualunque luogo in cui l’accadere si fa simbolico, è teatro: la scena dell’Amleto è un tappeto, una sedia, se gli attori entrano sul tappeto c’è l’azione, se ne escono, escono dall’azione, exeunt, come recitano le didascalie dei copioni elisabettiani. Due, che il teatro è sempre teatro contemporaneo, anche quando evoca una fiaba, un mito, un evento storico: il Giulio Cesare o il Coriolano di Shakespeare non sono la rappresentazione di ciò che fecero Cesare e Coriolano, ma la riflessione attuale su ciò che fecero Cesare e Coriolano. La conferenza degli uccelli, da un antico poema persiano, è il nostro viaggio verso l’irraggiungibile Utopia. Per non parlare del suo amarissimo, e bellissimo Lear, in una Scozia sempre buia e sempre gelata: il buio della malvagità, il gelo della stupidità umana, contro cui l’innocente è indifeso.

King Lear, forse il più cupo mai messo in scena o filmato, ritratto perfetto del mondo politico di oggi

Non dire felice un uomo, prima che abbia varcato il suo ultimo giorno senza avere mai patito un dolore, commenta il Coro, chiudendo l’azione tragicissima dell’Edipo Re. Il dolore, oggi, è tutto nostro, per la perdita di teatrante amatissimo, uno che con fantasia, ma anche con lucidità, ci ha messo davanti, sempre, sulla scena, lo specchio di noi stessi. E non è stato sempre un bel vedere, non perché lo spettacolo non fosse bello, ma perché noi non siamo belli.

- 03/07/2022
TAGS: teatro

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