Ex sicario professionista una volta al soldo della mala russa, John Wick (Keanu Reeves) ritiratosi a vita privata vive nel dolore per la perdita di sua moglie, malata da tempo. Dopo il funerale, John riceve come ultimo lascito un cane, affinché funga da memento per ricordargli di vivere una vita votata al bene e non alla solitudine. Ma quando un gruppo di balordi, di cui fa parte il figlio del suo ex boss, entrano in casa sua per rubargli la Mustang d’epoca, lo pestano e gli uccidono il cane, mal gliene incoglierà poiché commettono il più grave errore della loro vita. Ripresosi dalle ferite all’ex killer assetato di vendetta non resta che un’unica via da percorrere: prendere nuovamente i “ferri” del mestiere e farsi giustizia da sé.
C’era una volta John Woo e il suo filone hongkonghese dell’heroic bloodshed, all’insegna di antieroi nostalgici e tragici votati ad un unico credo: quello della violenza come via di redenzione. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti ma il suo stile, la sua “scuola” di fare cinema non sono andati perduti. Prova ne è John Wick (id., 2014) di David Leitch e Chad Stahelski, avvincente revenge movie uscito, sottotono, qualche mese fa nelle nostre sale.
Film violentissimo e adrenalinico, nel raccontare la spirale di vendetta del protagonista i due registi recuperano in toto gli stilemi del cinema d’azione asiatico. Con un passato da “braccio armato” per la criminalità, Wick abbandona questa vita per poter averne una nuova lontana dalla morte. Ma quando il destino e la follia degli uomini gli tolgono tutto ciò che gli è caro, il vecchio spirito di assassino fa nuovamente e inevitabilmente capolino in lui. Non ci sono scuse, non esistono modi per porre rimedio agli errori ma solo la ferrea legge dell’occhio per occhio. In una New York cupa e notturna John Wick torna ad essere l’infrenabile angelo della morte che era in precedenza, dando vita ad un escalation di morti su morti caratterizzata da un elevato body count e dai numerosissimi headshot di wooiana memoria. Non bastano le centinaia di uomini della mafia russa a fermarlo né tantomeno i suoi ex “colleghi”.
Permeata da quell’estetica della violenza molto in voga negli anni ‘80 e caratterizzata da una massiccia dose di azione non-stop, è un’opera superiore alla media del genere questa di Leitch e Stahelski. Un perfetto esercizio di stile e regia, con un montaggio perfettamente funzionale alle scene coreografate al millesimo di secondo. È una “danza” di morte, sangue e piombo rovente: un continuo rendez-vous tra corpi e pallottole sino al risolutivo “duello” finale tra il sicario e il suo vecchio capo. John Wick è un film che riesce ad attrarre ed a ipnotizzare lo spettatore senza annoiare, con almeno due sequenze (la lunghissima sparatoria nel night club e il combattimento corpo a corpo nella stanza dell’hotel) memorabili ed un uso del ralenti e di brevi sprazzi di humour posizionati ad hoc.
Così come è memorabile l’interpretazione di Keanu Reeves che dà carisma ed un animo glaciale al suo Wick, dopo le non proprio eccelse prove attoriali degli ultimi anni (fatta eccezione per La notte non aspetta, 2008, di David Ayer). A completare il cast un asciutto e volutamente sotto le righe Willem Dafoe nei panni di Marcus, “collega” di Wick e lo svedese Michael Nyqvist in quelli del capoclan russo.
Un film da vedere, consigliato non solo ai fan del genere ma anche ai neofiti con un’unica avvertenza: astenersi gli animi sensibili perché John Wick è una inarrestabile tempesta di piombo e sangue.