A Los Angeles Lou Bloom (Jake Gyllenhaal), ragazzo perspicace ma senza lavoro fisso si guadagna da vivere con piccoli furti di materiali da cantiere. Ma questo non gli basta per sbarcare il lunario. Una notte, percorrendo una delle tante highway losangeline, Lou diventa spettatore involontario del salvataggio, da parte di due poliziotti, di una donna intrappolata all’interno di un’auto in fiamme. Ad incuriosire ancor di più il ragazzo è l’arrivo di Joe Loder (Bill Paxton), operatore video freelance che riprende le scene di incidenti e crimini efferati per poi rivendere i filmati alle emittenti televisive. Ispirato da tutto ciò che ha visto, Lou decide di procurarsi il materiale necessario (una videocamera e uno scanner per le frequenze radio della polizia) ed ogni notte percorre strade su strade per poter immortalare “materiale forte” per il network di Nina (Rene Russo). Presto il lavoro “improvvisato” di Lou lo porta verso una vera e propria ascesa di guadagni e esperienza. Deciso ad ampliare la sua attività, assume Rick (Riz Ahmed) che gli fa da assistente nelle folli corse notturne. Ma quando Lou si intrufola all’interno di una villa, luogo di un vero e proprio massacro, il neo-operatore intralcia – pericolosamente – le indagini per trovare gli assassini da lui visti durante le riprese.
Scritto e diretto da Dan Gilroy, qui alla sua prima volta dietro la macchina da presa, Lo sciacallo – Nightcrawler (Nightcrawler, 2014) è un cupo e notturno thriller metropolitano senza un attimo di tregua che mostra, ancora una volta, quel dark side delle grandi metropoli statunitensi e di chi, come il protagonista, si muove e vive all’interno di queste giungle urbane fatte di cemento, acciaio e vetro, ove spesso il sangue e la morte sono all’ordine del giorno. In una Los Angeles dalle migliaia di luci e riflessi, dalle centinaia e centinaia di strade e vicoli (a momenti sembra di trovarsi in un film di Michael Mann tant’è che L.A. sembra “viva” e non un semplice sfondo d’azione) ma “avvolta”, inglobata da un’aura – a tratti – veramente spettrale, si assiste alla metamorfosi “animalesca” di Lou, pacato (ma un po’ sociopatico) american boy intelligente e pieno di inventiva (autodidatta si definisce lui) che diventa uno stinger (così sono chiamati in gergo i video operatori “mercenari”) sorta di figura inscalfibile fatta di cinismo e nichilistico senso degli affari.
Dai video a bassa risoluzione e scarsa qualità ma efficaci ad attirare l’attenzione sgomenta degli spettatori dei notiziari, fino ad arrivare a quelli più professionali e dal “taglio” cinematografico; questi sono, per Lou, indice di buona riuscita per la propria scalata sociale e di potere ma – contemporaneamente – rappresentano un potente e disarmante segno di ossessione. Non si ferma davanti a niente e nessuno il protagonista de Lo sciacallo, senza provare il minimo dubbio etico e morale, senza domandarsi fino a che punto è possibile mostrare il non mostrabile. Per lui, filmare omicidi, incidenti, sangue e situazioni estreme è puro e normalissimo lavoro. Anche quando la concorrenza tende a superarlo, la regola ferrea che Lou impone a se stesso ed al suo assistente factotum è quella di essere più veloci nel non farsi sottrarre lo scoop, l’esclusiva. Così come non c’è spazio per riflessioni, non vi sono incertezze per gli acquirenti, ovvero i dirigenti dei network giornalistici che riducono la loro politica di sistema ad una basilare formula: più sensazionale è ciò che si manda in onda e si vede, più ci si procaccia audience. Ed è qui che il film di Gilroy fa detonare – con tutta la sua potenza e senza remora e paura di osare – il tagliente j’accuse contro i media televisivi. Molto probabilmente era dai tempi di Quinto potere (Network, 1976) di Sidney Lumet che non si vedevano rappresentazioni del mondo televisivo così al vetriolo e delle scomode, amorali e ciniche figure che “comprano” e diffondono la morte in diretta. Merito non solo della sceneggiatura di ferro e della robusta (e sicura di sé) regia di Gilroy ma – soprattutto – dell’agghiacciante, inquietante interpretazione di Jake Gyllenhaal (attore che già dieci anni fa dimostrava di aver talento e che con i recenti End of Watch – Tolleranza zero e Prisoners ha segnato la sua consacrazione trai grandi attori hollywoodiani), appositamente dimagrito per il ruolo, che ha reso il suo Lou un personaggio scomodo, rappresentazione amorale e senza coscienza dell’ “uomo d’affari” figlio del XXI secolo che suscita una forte repulsione ma, allo stesso momento, capace di far provare una forma di sinistra simpatia e fascino nei suoi confronti.
Spietato, duro ed a tratti crudo, Lo sciacallo – Nightcrawler è uno di quei film che non passa inosservato, un thriller che incalza ed appassiona lo spettatore fino all’adrenalinico (ed inimmaginabile) finale che coglie – letteralmente – di sorpresa. È un’opera, questa, destinata a far parlare a lungo di sé e che, sicuramente, non sarà scevra di potenziali emulazioni filmiche.