Ex maggiore del MacVSog durante la guerra del Vietnam, Alan “Dutch” Schaefer (Arnold Schwarzenegger) e la sua squadra di mercenari sono ingaggiati per una missione da George Dillon (Carl Weathers), ex commilitone di Dutch ora in servizio alla CIA. Scopo dell’operazione è il recupero di un ministro catturato da un gruppo di guerriglieri in America centrale. Raggiunta la zona bersaglio il team di Dutch rinviene un gruppo di berretti verdi barbaramente uccisi. Poco dopo, identificato il campo base dei guerriglieri, inizia l’ingaggio con le forze nemiche. In realtà Dillon ha mentito al suo ex collega, in quanto si trovano lì per eliminare il gruppo ribelle e recuperare alcuni file di intelligence. In un clima di tensione dovuta alla menzogna e al massacro appena compiuto, Dutch, la sua squadra e Dillon iniziano a esfiltrare nella giungla ma qualcosa di non umano e non ben identificato li segue e, dopo non molto, inizia ad uccidere uno a uno i membri del team.
Solo due anni prima Arnold Schwarzenegger – volto del cinema action degli anni Ottanta insieme al collega/rivale Sylvester “Sly” Stallone – ha interpretato il ruolo dell’ex colonnello delle forze speciali John Matrix, protagonista assoluto di Commando (id., 1985), per poi tornare nuovamente a indossare la mimetica e imbracciare il fucile d’assalto per combattere una mostruosa creatura aliena in Predator (id., 1987), opus n. due di John McTiernan. Incrocio tra il cinema di guerra e quello di fantascienza Predator, all’epoca dell’uscita nelle sale cinematografiche, si è rivelato una piacevole sorpresa non solo per i notevoli effetti speciali ma – soprattutto – per l’avvincente vicenda posta al centro del film. Se è vero che il secondo lavoro cinematografico di McTiernan (regista che si è fatto conoscere proprio con Predator ma che ha raggiunto il successo col il capostipite della saga di Die Hard, quel Trappola di cristallo [Die Hard, 1988] entrato di pieno diritto negli annali del cinema action) ha tutti gli ingredienti per essere un b-movie (visto il continuo cambio di registro tra i generi del war movie, dell’action, del sci-fi e dell’horror) nonostante ciò Predator si discosta da tale categorizzazione, andando a piazzarsi in quel Cinema con l’iniziale maiuscola.
Ciò che veramente fa guadagnare punti al lungometraggio di McTiernan non sono solo ed esclusivamente la sceneggiatura di Jim e John Thomas e la regia granitica, bensì la capacità del regista di essere riuscito a creare un’atmosfera filmica che ricalca – in toto – da una parte gli aspetti storici e geopolitici dell’epoca conditi da una buona dose di paranoia, dall’altra, invece, quelli relativi alla cinematografia di genere del passato (la minaccia aliena proveniente dallo spazio e dall’ignoto, fiore all’occhiello della fantascienza anni ’50-’60) nonché all’immaginario anni Ottanta. Non va dimenticato che Predator è figlio degli Eighties, più precisamente degli ultimi anni della decade che viene a combaciare con gli intensi sgoccioli della Guerra fredda, la corsa ai super armamenti e la presidenza di Ronald Reagan. Aspetti, questi, non secondari ma piuttosto primari e mostrati (in)direttamente in Predator: il gruppo di protagonisti sono super soldati addestrati, perfette macchine da guerra capaci di far fronte a ogni evenienza. Non a caso sono ex combattenti del Vietnam, di quel sanguinoso e lungo conflitto che in Predator si presenta sotto forma di revenant spettrale (la location della giungla pericolosa e piena di insidie) che si trasmuta in un nemico quasi invisibile, sfuggente e letale (trasfigurazione dei vietcong e delle paranoie della Guerra fredda). Discorso opposto ma parallelo è invece quello del tessuto filmico, di quel mare magnum di generi e tematiche relative alla Settima arte. Se il cinema degli anni Ottanta è sinonimo di action, di eroi e antieroi muscolosi, inscalfibili e che sembrano quasi fatti d’acciaio, in questo Predator non è da meno: già il fatto di avere come protagonista l’ex body builder Schwarzenegger, che nel frattempo era già entrato nell’immaginario dello spettatore con film come Conan il barbaro e un capolavoro come Terminator, il culto della fisicità, del machismo e dei corpi muscolosi degli eroi a stelle e strisce è in primo piano.
Un culto, quello della fisicità, di molto cinema dell’epoca ma che in Predator viene lentamente a crollare nel rendez-vous e nel rimescolamento dei generi: il film di McTiernan un attimo prima è un film di guerra e azione, un attimo dopo si trasforma in un fantahorror con punte di splatter e gore in cui, lentamente e sempre più barbaramente, i protagonisti sono trucidati dalla bestiale e tecnologicamente avanzata creatura aliena. Ed è proprio grazie a questo contrasto di forze in campo che Predator assume la forma di parabola metaforica: la lotta tra Dutch e l’alieno cacciatore si trasforma in una lotta per imporre la propria superiorità e assicurarsi la sopravvivenza, un po’ al pari degli Stati Uniti e del blocco sovietico durante la Guerra fredda. Lo scontro finale tra l’erculeo Arnold Schwarzenegger e l’inarrestabile creatura è la riproposizione dello scontro tra Davide e Golia in versione sci-fi in cui, ancora una volta, non è tanto la forza a vincere bensì l’ingegno.
Capace di creare un crescendo costante di tensione a cui si aggiunge una elevata dose di adrenalina e di orrore visivo Predator, a distanza di trent’anni dall’uscita, due sequel (Predator 2 e Predators, ai quali si aggiungerà l’anno prossimo The Predator) e due deludenti crossover (Alien Vs Predator e Alien Vs Predator 2), mantiene intatta quell’aura ammaliante dei nostalgici anni Ottanta che, nonostante il trascorrere del tempo, riesce ancora oggi a catturare lo spettatore nelle sue maglie – a volte semplicistiche ma mai banali – di quel cinema-cinema capace di intrattenere e divertire. Opera cult della storia del cinema, Predator si conferma un film imperdibile ed essenziale non solo per i cinefili ma anche per gli spettatori saltuari.