C’era una volta la Hollywood classica, fatta di lustro e di enormi produzioni cinematografiche. E con essa c’erano quei generi filmici, come il noir, che mettendo in campo nomi di grandi attori come Humphrey Bogart o Robert Mitchum, hanno dato vita a un immaginario collettivo fatto di uomini duri, irriducibili, spietati e – al contempo – con un passato oscuro, spesso fatto di violenza. Titoli come Il mistero del falco e La fiamma del peccato hanno dipinto il ritratto di una società torbida, fatta di cupe macchinazioni e segreti indicibili. Almeno fino al tramonto della Hollywood dei tempi d’oro – la quale tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta ha lasciato spazio alle nuove e rivoluzionarie leve della New Hollywood – il noir ha fatto la parte del leone, per poi essere (ri)visitato nei ’70 con opere come Chinatown e, infine, ricavare nuova linfa nella contaminazione di generi avvenuta con l’attestazione del postmodernismo filmico a cavallo tra gli ’80 e i ’90.
Ma cosa succede se proprio sul finire degli anni Novanta, decade conclusiva del millennio, qualcuno tenta di riportare in auge quel noir d’altri tempi, tanto amato quanto saccheggiato? La risposta è una e si chiama L.A. Confidential (id., 1997). Trasposizione dell’omonimo romanzo di James Ellroy diretta dal compianto Curtis Hanson – regista di Cattive compagnie e 8 Mile scomparso nel 2016 – L.A. Confidential è tutto quello che un aficionados e amante del noir cerca: nella Los Angeles di inizio anni Cinquanta tre poliziotti, il tenente Ed Exley (Guy Pearce), il sergente Jack Vincennes (Kevin Spacey) e l’agente Bud White (Russell Crowe) si ritrovano a lavorare insieme sul massacro avvenuto in un locale notturno, il Nite Owl. Considerato come una rapina andata male, ben presto i tre si rendono conto che dietro al crimine consumato si nasconde ben altro. Trovati alcuni indizi che portano a casi di corruzione della polizia e a un giro di prostituzione d’alto bordo in cui le escort somigliano a note attrici, White, Exley e Vincennes sono costretti a unire le forze non solo per rendere giustizia alla vittime ma portare a galla tutto il marcio che si nasconde nel dipartimento.
L’opera di Hanson riprende in pieno tutti gli stilemi e i luoghi del noir più classico, riuscendo a ricostruire in toto quelle atmosfere torbide e decisamente hard boiled appartenenti al genere. Nell’assolata Los Angeles di L.A. Confidential il glamour e la dolce vita convivono, di pari passo, con lo squallore, la depravazione e i più inimmaginabili altarini nascosti. Hanson rappresenta una metropoli non tanto da sogno, semmai è il contrario: la Los Angeles qui protagonista insieme ai suoi personaggi è un luogo di perdizione, in cui la droga e gli affari illeciti, così come la violenza privata e i soprusi della polizia corrotta fanno da padrone. Tra omicidi irrisolti, ricatti, false piste e metodi poco ortodossi, L.A. Confidential si trasmuta in una sorta di girone dantesco, in cui l’unico flebile spiraglio di luce (e speranza) proviene da chi capisce di dover usare il distintivo, il proprio scudo per mettere la parola fine al fango che viene versato sulla città. I tre poliziotti incarnati da Pearce, Spacey e Crowe, rappresentano alla perfezione i due lati della medaglia: ognuno con i propri scheletri nell’armadio capiscono, in una realtà ormai verso il baratro, che è giunto il momento di far valere la propria autorità, ridando lustro e onore a quella divisa indossata per proteggere e servire i più deboli anche a costo della vita.
L.A. Confidential non è solo un poliziesco dalle forti atmosfere cupe e violente, così come non è una semplice rivisitazione delle figure del noir, a partire dai losers che si tramutano in winners, dello sbirro buono e dello sbirro cattivo e delle femmes fatale, bensì un omaggio al grande cinema classico irripetibile e (salvo qualche rara eccezione) difficile da replicare. Con una regia sicura di sé, la fotografia di Dante Spinotti, le musiche di Jerry Goldsmith e un cast eccezionale (oltre a Crowe, Pearce e Spacey spiccano Danny DeVito, James Cromwell e Kim Basinger, quest’ultima giustamente premiata con l’Oscar come miglior attrice non protagonista), L.A. Confidential è un film a metà strada tra postmodernismo e metacinema, un viaggio di sola andata che dimostra come sia possibile (soprav)vivere e morire a Los Angeles quando si decide di andare controcorrente.