La Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia a Roma vide, tra altri musicisti. dirigere Gustav Mahler. E ancora negli anni ’70 del secolo scorso vi si tenevano i concerti da camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che oggi si tengono all’Auditorium Parco della Musica. Vi ascoltai il Quartetto Italiano, il Quartetto Lasalle, Elisabeth Schwarzkopf e Cathy Berberian. Venerdì 3 maggio scorso l’Orchestra delle Cento Città, un’orchestra del Lazio, diretta da Luigi Piovano e il pianista Luigi Carroccia hanno interpretato tutti e due i Concerti per pianoforte di Chopin. Ascoltarli uno dopo l’altro è un’esperienza. Chopin li compose dai 18 ai 19 anni. Insieme agli Studi op. 10. Opera giovanile, dunque, ma che squadernano subito una novità e maturità d’invenzione musicale strabilianti. Queste righe non vogliono essere una recensione del concerto, ma una riflessione sul nuovo mondo sonoro che Chopin apriva nell’Europa degli anni ’30 del secolo XIX. Stava per crollare in Francia la Restaurazione, e dopo la Rivoluzione di luglio si vissero gli anni dorati della Monarchia degli Orléans, anni pieni di fermento, d’innovazione, gli anni dell’Hernani di Victor Hugo, e dell’avvento del romanticismo in Francia, gli anni di Delacroix, di Stendhal, Chateubriand, Balzac, e, naturalmente, Geroges Sand. A Parigi vivevano Liszt, Heine, Rossini. Baudelaire è ancora ragazzo, ma sta per esplodere. Parigi è il centro culturale dell’Europa. E a Parigi si rifugia Chopin, in fuga dall’invasione russa della Polonia. Ma i concerti, senza particolare successo, erano stati già regalati al pubblico viennese.
Luigi Piovano
La serata è stata organizzata dal Fryderyk Chopin Institute di Varsavia, dall’Istituto Polacco di Roma, dal Ministero della Cultura, l’Orchestra delle Cento Città e dall’Ordine di Malta Italia, Gran Priorato di Roma.
Luigi Carroccia
L’orchestra non è strumento privilegiato per la fantasia musicale di Chopin, ma non è nemmeno trattata con superficiale noncuranza, giusto come un supporto di accompagnamento. E vi sono anzi sparse intuizioni timbriche suggestive, che ebbero influsso sul trattamento dell’orchestra in Brahms, ma anche nel teatro musicale soprattutto francese almeno fino agli anni 50 del secolo. Ma l’aspetto più nuovo è forse l’insistenza con cui il timbro solistico di alcuni strumenti, i corni, i fagotti, suggeriscono e mettono in evidenza nuove invenzioni ritmiche. O gli stessi archi adoperati come macchia di colore sulla quale si distende la melodia del pianoforte, per esempio nel Larghetto del secondo concerto, la melodia raddoppiata all’ottava sulla tastiera sullo sfondo del tremolo degli archi. Se ne ricorderà Brahms nel suo secondo concerto. In più punti, è vero, l’orchestra sembra subordinata a un ufficio di semplice sostegno armonico. Per esempio nella riesposizione di un tema. Tuttavia, provate a togliere quel sostegno, a lasciare solo il pianoforte, e l’orecchio sentirà che qualcosa manca. Esemplare, in tal senso, il bis offerto, alla fine del concerto, da Carroccia: l’esposizione del tema, appunto, dal Larghetto del secondo concerto, ma senza il sostegno dell’orchestra. Avrebbe potuto essere l’attacco di un Notturno. Non lo era. E l’assenza dell’orchestra attenuava l’effetto sognante del brano. Chopin stesso amava suonare, soprattutto nei salotti, questo pezzo senza orchestra. Ma non era un dichiarare inutile la presenza dell’orchestra, bensì un adattare l’esecuzione alle esigenze dell’occasione, in questo caso la ristretta misura di un salotto mondano. Ma rivela anche un altro aspetto: l’orchestra di Chopin non ha quasi mai respiro sinfonico. È un “accompagnamento” da camera. Il modello sono può darsi i concerti mozartiani K. 413, 414, 415, che possono essere eseguiti anche con la collaborazione di un solo quartetto d’archi al posto dell’orchestra. In questa forma il carattere cameristico dei concerti e la scrittura contrappuntistica ne sono esaltati. Qualcosa di analogo accade con i concerti di Chopin. Questo carattere di musica da camera si fa ancora più evidente nei tempi danzanti che concludono i due concerti, un Krakoviak nel primo, una mazurca nel secondo. Ma di una variabilità ritmica tale sia il Krakoviak sia la mazurca che sembrano anticipare le investigazioni ritmiche di Bartók. È questo l’aspetto che sia Piovano sia Carroccio sembrano avere privilegiato. E il successo di pubblico li ha premiati.
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