Accostarsi al romanzo “Come d’aria” di Ada d’Adamo richiede pudore, moltissimo, e silenzio. E non semplicemente perché la sua autrice non c’è più ma anche e soprattutto per la delicatezza (ma anche la forza e la autenticità) con cui Ada ha intessuto questa sua opera autobiografica, entrambe caratteristiche che la percorrono in lungo e in largo senza cadute di stile e di tono, in un equilibrio scrittorio più unico che raro.
Parlare di malattia e di dolore senza cadere in inutili melodrammi non è così scontato in un’epoca, la nostra, in cui il sensazionalismo la fa spesso da padrone. La storia di Ada, madre di Daria o meglio di D’aria, come lei stessa innumerevoli volte sottolinea, è una storia di una semplicità e trasparenza disarmanti e rientra in questa scia di vita vissuta ponendosi come spunto di riflessione per chiunque abbia quotidianamente a che fare con una lunga malattia o patologie incurabili e progressive ma anche per chi alla sofferenza si accosta come strumento per crescere “dentro”: per chi il dolore non lo rifugge pur non ricercandolo scientemente ma si pone nell’ottica di un ciclo vitale che è necessariamente fatto di nascita, crescita e vita e poi morte, in un percorso circolare e naturale. Daria è il frutto di una diagnosi prenatale errata, consegnata alla nascita ad Ada e ad Alfredo, i suoi genitori, senza che questi possano prendere una decisione diversa. Un felice sbaglio, direbbe qualcuno con una retorica che non è né giusta né accettabile, per potersi conoscere a fondo e poter portare a galla il meglio dei suoi genitori a cui a un certo punto si affianca la diagnosi tumorale di Ada, donna dalle mille doti personali e professionali, creativa, amante della danza, scrittrice e madre di una bimba e poi adolescente affetta dalla nascita da oloprosencefalia, una diversabilità gravissima che costringe lei e le persone che con lei se ne prendono cura a riequilibrare una biografia familiare che prenderà consistenza maggiore proporzionalmente al passare del tempo e paradossalmente all’aggravarsi delle situazioni esistenziali di entrambe. Ada non si piange addosso anche se palesa con grande sincerità il suo sgomento e il disappunto di aver portato in pancia per nove mesi una creatura che in epoca prenatale le era stata descritta in maniera diversa; se ne fa carico con amorevolezza, tenacia, forza anche grazie all’aiuto di tanta gente che le resta accanto a fronte di altrettante persone che dimenticano la sua esistenza e quella della sua bimba. Dicevo che “Come d’Aria” è un libro intriso di dolore reale e concreto, ma di un dolore che non resta fine a sé stesso e che, al contrario, induce a riflettere sulle cose del mondo, sulle relazioni interpersonali, sul senso di maternità stesso spesso sbandierato propagandisticamente a piene mani ma non nell’intimo compreso e supportato in modo tangibile come dovrebbe esserlo. Madri di figli speciali si diventa, e lo si fa attraverso un percorso fatto spesso di prove ed errori in cui si mescolano lacrime e risate, non ci sono ricette se non le esperienze dirette di chi ci è già passato e talvolta accetta di mettere a disposizione degli altri il frutto del suo difficilissimo cammino costeggiato da una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia di montaliana memoria. Una recinzione che si supera a caro prezzo, qualche volta in solitaria, che fortifica distruggendo dentro o forse meglio portando alla superficie quell’essenzialità a cui in tanti agogniamo ma che non abbiamo mai forza sufficiente per scegliere come unica alternativa possibile a una vita incolore e insapore.
Lucia Guida
Ada d’Adamo, Come d’aria, ISBN 9788892762459, € 15,00