Jamie McKendrick, Gli anni, traduzione di Antonella Anedda, Coup d’idée Edizioni d’arte di Enrica Dorna, 2022
Un arguto confronto sul filo degli anni
È oggi molto diffusa nelle edizioni d’arte l’abitudine di collegare testi poetici con immagini ideate da artisti che a quei testi si ispirano, ma senza il proposito di illustrarli. Si ha cioè l’incontro di due individualità distinte su un unico tema, che viene in certo modo ricreato. Nel libro Gli anni (The Years, 2021) del poeta inglese Jamie McKendrick è lo stesso autore delle poesie a comporre le tavole: si tratta di un esperimento con cui McKendrick si propone di “abbattere il muro” da lui stesso costruito nei suoi lavori precedenti di arte visiva e poesia. “Dopotutto recinti rotti fanno buoni vicini” dice nell’Introduzione. Ogni poesia, dunque, ha un suo corrispettivo in un’immagine, e notiamo subito che fra le due forme esiste un rapporto tematico, ma anche una loro autonomia. Se la parola indica un oggetto (può essere un fiume, un albero, un insetto, un monumento ecc.), questo oggetto lo ritroviamo nella tavola, ma inserito in un tessuto in cui proliferano reperti, allusioni, inflessioni e modulazioni forse riferibili a insorgenze dell’inconscio o della memoria associativa. “Le immagini sono indipendenti dalle parole ma sono immagini-orecchio in ascolto del ritmo di entrambe.” nota Anedda nella Postfazione. Le tecniche usate sono inchiostro e acquarello su carta, matita e collage; il colore è un marroncino mescolato al grigio e al nero. Colpisce la disposizione in verticale, che esclude quasi del tutto la profondità, forse a indicare la natura mentale, tutta interiore, onirica, della visione in cui, come nel sogno, realtà e non realtà si fondono in uno spazio dai colori incerti. Quanto alle poesie, vi ritroviamo, come osserva ancora Anedda, quel rapportarsi ad altri mondi, teorizzato da McKendrick in The Foreign Connection, anche come riflessione sui danni prodotti agli inglesi dal sentirsi madre-lingua. Ma ciò che più ci colpisce è la tonalità di sottile, arguta, divertita e insieme agretta ironia con cui l’autore raffigura se stesso non più giovane, appellandosi nell’epigrafe a una frase di Thomas Hardy, “Ah no; gli anni, Oh!”. Già nella prima poesia, Fare nulla, condivide le sensazioni di un airone sconfortato appollaiato vicino a una piscina: “Il mondo è una truffa. Il mio ciuffo trema. Le mie spalle s’incurvano. Il mio becco è affilato come un chiodo”. E quell’airone così simile a lui appare nella tavola corrispondente, mentre in Nulla facendo il poeta tesse l’elogio del non far nulla paragonato a uno “spazio seminato di erbe rigogliose”, magnificamente proliferanti nell’immagine. Questa confessione di pigrizia sorniona, quasi una sorta di oraziano understatement, compare nella poesia Lui sia me (He Be Me), nella quale il poeta ormai anziano dà appuntamento in un bar a un se stesso giovane. Dal confronto emergono differenze ma anche inquietanti somiglianze: il ragazzo privo di soldi, di lavoro, di forza, arriva in ritardo; la sua sicurezza è solo un bluff, ma c’è una cosa di cui sembra stoltamente certo, e cioè che mai e poi mai nella vita lui sarebbe divenuto il se stesso che gli sta di fronte (All the fool seemed utterly sure of /was never in his life would he be me).
Maria Clelia Cardona