Oggi, al Teatro Argentina di Roma, si può dare l’ultimo saluto a Maurizio Scaparro. Io gliel’ho dato, sulla rete, l’altro giorno, ricordando una felice collaborazione. Riprendo quel ricordo, qui. Il peggio degli anni che passano, dell’invecchiare – e ormai ho 81 anni! – sono gli amici, i cari che via via ti lasciano solo per strada.
Maurizio Scaparro non c’è più. Lo ricordo che lo vidi entrare in una saletta vicino alla Fenice di Venezia, dove leggevo per gli amici dell’Ateneo il mio monologo “Voi che ascoltate”, l’ultima notte che Petrarca trascorre a Venezia prima di trasferirsi ad Arquà. Finita la lettura, Scaparro mi si avvicinò e mi chiese: “Lo reciteresti alla Biennale?” Eravamo amici da tempo, ma non mi aspettavo una simile offerta. Naturalmente dissi di sì. Come palcoscenico mi fu dato uno spazio nella soffitta del Teatro La Fenice, con grandi finestre dalle quali si ammirava una vista mozzafiato sulla città. Petrarca abitava sulla Riva degli Schiavoni. La casa fu demolita dall’appena istituito Regno d’Italia, invaso da una demoniaca furia di modernizzazione. Oggi la ricorda una lapide. Non è lontana dall’attuale albergo Danieli. E dietro c’è il bellissimo Campo di San Zaccaria. Il giorno della recita la sala era piena, tanti amici veneziani erano venuti ad ascoltarmi. Era pomeriggio. Poteva essere la casa del Petrarca, dalla quale però si vede l’isola di San Giorgio. Con me collaborarono, per le musiche, alcuni miei allievi, guidati da Filippo Perocco, allievo di composizione, e da allora anche carissimo amico. Fu usato solo il pianoforte. Le corde gravi pizzicate direttamente dall’interno simularono le campane. Le musiche erano tutte variazioni del notturno postumo in do minore di Chopin. Prima che lo spettacolo iniziasse un allievo, Francesco Pavan, lo suonava ininterrottamente, fino a che la sala si riempiva. C’era anche il canto di un gondoliere innamorato, in veneziano, quattro versi che scrissi apposta per la rappresentazione: “Me brusa el cor, / me brusa tanto, / che s-ciopa el pianto / e no me stua l’amor”. Scrisse la musica della canzone un altro allievo, Davide Nicolosi. E la cantò lui stesso, accompagnandosi con la chitarra. Fu un successo, e mi sorprese: non è un brano facile, pieno com’è di ricordi e citazioni letterarie. Il monologo, oltretutto, è scritto in versi endecasillabi. Tra il pubblico plaudente vidi anche Maurizio Scaparro. Può sembrare un’autocelebrazione questo ricordo. Ma è invece un atto di ringraziamento a Scaparro, all’intelligenza con cui si dedicava al teatro. Sempre a Venezia ricordo una sua indimenticabile messa in scena di “Una delle ultime sere di carnevale” di Goldoni. Al teatro Goldoni. La partita a carte che chiude il secondo atto era un capolavoro di teatro visivo. Sit tibi terra levis, Mauricie! Pulvis et umbra sumus. Horatius poeta docet.