L’assassina del direttore del tg (Racconto breve)

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Sul volo che lo riporta a Milano il direttore del tg sta per prendere posto accanto a una donna molto distinta: potrà avere al massimo 35 anni, capigliatura scura, con taglio alla francese e, dunque, nuca scoperta. Occhi neri, espressivi e profondi. Zigomi alti e bocca appena carnosa, senza gonfiori da lifting. E poi il naso con una leggerissima imperfezione, a renderla spettacolarmente fascinosa. Quando l’uomo l’ha vista ha cambiato espressione. Il suo umore, da spento che era, con un’aria quasi irritata, è passato a uno stato piuttosto raggiante. Non c’è niente da fare, lo charme femminile lo inebria più di qualsiasi altra cosa al mondo! A lui piacciono le donne coì come possono piacere nell’immaginario, nella cultura e nell’educazione dell’uomo medio italiano. E il potere che si trova a esercitare tramite il suo posto di comando, nell’ambito di una comunicazione falsa e ingannevole, lo incoraggia, come succede ai sempliciotti di ogni risma, a provarci con tutte quelle che gli piacciono. L’impomatato direttore sessantenne si accomoda sul sedile rivolgendo alla signora un cortese “buongiorno”. Lei, sfoggiando un sorriso molto elegante, risponde al saluto con un tono di voce gioviale. Una volta decollati, la bellissima prende a leggere un quotidiano decisamente critico con l’attuale governo, soffermandosi sulla pagina di politica interna. Il direttore del tg non perde occasione per guardare la donna furtivamente. A ogni occhiata storce la bocca: un tic che non riesce a controllare da quando si è seduto affianco a lei. La sua vicina di posto dovrà sembrargli di una bellezza inaudita, così diversa dalle starlette da strapazzo del mondo dello spettacolo, che abitualmente egli frequenta.

Ha difficoltà, il miserabile, a trovare l’argomento per attaccar bottone, come si suol dire in gergo, e s’accorge di provare nei confronti di quella donna una sorta di disagio che non aveva mai assaporato, nemmeno di fronte a personaggi molto importanti. Evidentemente, ne percepisce oltremodo il carisma. Lui, così abituato ad apprezzare il genere femminile, soffermandosi all’esteriorità, gli tocca, ora, subire, in qualche modo, una spiccata personalità femminile dalla sconosciuta identità. Quando decide di rompere il ghiaccio, la sua abituale sicurezza gli viene meno, e dice in maniera piuttosto esitante:

  • Questo quotidiano ha intrapreso una vera e propria battaglia contro il Premier, non le pare?
  • Non mancano, però, sulla restante parte dei giornali, persone che scrivono articoli per celebrarlo a ogni piè sospinto.”
  • Lei, per caso, crede che io sia una di queste?
  • Lei celebra e difende il Premier?

Ma, dove vive, questa? Mi ha riconosciuto, o no? Lo sa chi sono? – si chiede incredulo il noto e popolare direttore.

  • Scusi, non mi dica che non ha mai visto il tg di cui sono direttore? – Le domanda, leggermente spazientito.

Piuttosto che rispondere, la signora lo guarda con aria interrogativa. A quel punto, trovandosi completamente spiazzato, il direttore aggiunge:

  • Io sono Gennaro…
  • Sanmarzano! – interrompe prontamente, lei.
  • Allora sa chi sono?
  • Certo che sì!
  • Mi scusi, mi conosce, e non sa che lodo il Premier pubblicamente e sempre, in ogni circostanza, fregandomene di tutto e di tutti?

 

  • Anche dei telespettatori? Stando ai dati dell’audience del suo tg, mi pare che in giro ci sia molta gente più snob di lei.

Bella e tosta! – riflette ferito, il direttore

  • Una comunista, vero? – le chiede, poi, con fare provocatorio.
  • La prego, non si renda ridicolo come il suo amico Premier.
  • Trova ridicolo il Premier?
  • C’è qualcuno, al di fuori dei confini italiani, che ne abbia un’opinione diversa?
  • Cioè?
  • Via, signor Sanmarzano, non faccia finta di ignorare cose di cui è al corrente, come tutti del resto.
  • Ho capito, lei è un’acerrima nemica di questo governo. – dice risoluto, il direttore, continuando a provocare la bella e gentile signora.
  • E questo,  a lei, suona come una stranezza, o, peggio ancora, un affronto?
  • Nessun affronto, per carità, ma una buona dose di prevenzione non manca mai nel giudicare negativamente un grande politico, in special modo se si tratta del nostro talentoso e generoso Premier. – risponde serafico il lacché di regime.
  • Senta, lei non offre spunti per continuare questa disquisizione. Io, non ho alcuna sorta di barriera culturale, tanto meno riesco a essere prevenuta nei confronti di chicchessia. Detesto chiunque sia nemico del popolo, e il Premier di questo paese, a mio modesto avviso, lo è. – ribatte lei, senza perdere la calma.

Il direttore, sempre più sconvolto e al contempo affascinato dalla sua vicina di posto, resta muto per più di un attimo. Oltre che di fine bellezza gli appariva composta: una donna con i cosiddetti attributi, al contrario di tanti uomini abituati ad agire in maniera esclusivamente opportunistica, esattamente come lui, mostrando mille facce, ognuna più artificiosa dell’altra, da sfoderare all’occorrenza, secondo evenienza e convenienza. Lei, invece, era pronta a sostenere il suo pensiero e la sua coscienza, in qualsiasi istante e di fronte a chiunque. Che lui fosse Gennaro Sanmarzano, un noto e intimo protetto del Premier, costituiva per quella donna un dato del tutto irrilevante. Decide, allora, di stuzzicarla in modo estremo:

  • Anche se dall’aspetto non si direbbe, non è mica, per caso, un’ex terrorista?

Lei lo guarda elargendogli un sorriso eloquente e pieno di classe, a evidenziare la sciocchezza che egli ha appena detto. E incede:

  • Non pensavo che lei fosse tanto corrispondente al personaggio che interpreta in video.
  • Sono una persona coerente. – ribatte il direttore.
  • Chiunque perseveri in ciò che è dimostra coerenza. – sentenzia la donna con sublime disprezzo, velato di cortesia e gentilezza.
  • Intende dire che io persevero nell’errore? – chiede il pover’uomo.
  • L’errore presuppone un giudizio morale. Chi sarei io per giudicarla? Lei è diverso da me, e lo è quanto basta per distinguersi, senza possibilità di confondersi.

 

 

Quest’ultima asserzione rivela al direttore di trovarsi al cospetto di una persona straordinaria, che sferza colpi di fioretto più dannosi di una botta in testa ricevuta col martello. In effetti, la donna lo sta flagellando con una finezza eccelsa.

  • Mi scusi, non vorrei apparirle indiscreto, ma sono molto curioso di sapere qual è il suo nome. – le dice con forzata affabilità, il direttore, cercando di apparirle simpatico.
  • Quale, quello di battaglia, o quello all’anagrafe? – gli risponde con evidente spirito, la donna.

Il direttore sta al gioco e dice:

  • Quello di battaglia, naturalmente.
  • Antigone.
  • Bello! Un nome della mitologia greca, giusto?
  • Giusto.
  • C’è anche una tragedia classica che descrive la sua storia, è così?
  • Sì, la storia di Antigone ci è stata tramandata da diverse tragedie. La più esauriente e, forse, la più famosa, è quella di Sofocle.
  • Perché ha scelto questo nome?
  • Perché sono un po’ come l’eroina che lo incarnava.
  • Non ricordo le vicende di Antigone, seppure credo di averle studiate al liceo. – le confessa il direttore.
  • Si è citato a sazietà il verso 523, in cui Sofocle fa dire all’eroina: “Non sono venuta al mondo per portare odio, ma amore.” Sa, si tende a paragonare Antigone a Giovanna D’Arco. Entrambe hanno la stessa vocazione al sacrificio. C’è da dire che questo mito segue due percorsi differenti: uno mostra in Antigone il modello delle virtù familiari, conservando l’immagine della figlia di Edipo che assiste alla vecchiaia del padre cieco; l’altro mette in scena una donna che si oppone al potere costituito e muore, piuttosto che obbedire a un ordine ingiusto.
  • Lei, a quale modello di Antigone si ispira?
  • Provi a indovinare?
  • Al secondo. Lei, come molti idealisti, è un’autolesionista.

Antigone, cioè, la meravigliosa donna che dialoga con il direttore in maniera apparentemente amichevole, si abbandona a una sonora risata, in cui una intelligenza più avveduta e sensibile di quella del direttore avrebbe scorto una minaccia, o qualcosa di inerente al pericolo, che al momento non poteva essere decifrata con chiarezza. Ma lo stolto, immerso nella beatitudine di stare accanto alla splendida donna, pregustava chissà per quale strano motivo una conquista che per lui avrebbe avuto del sensazionale. Osservandola più a lungo di quanto avesse fatto fino a quel momento, riflette che tutte le donne di cultura e di sottile ironia hanno nello sguardo qualcosa di struggente, che le rende sofisticate e particolarmente amabili. Desiderava, ora, il donnaiolo, sapere di più sul suo conto. Molto di più. E, riprende:

 

  • Lei è una professoressa?
  • Sbagliato.
  • Ma, è difficile per lei immaginare un mestiere diverso, voglio dire, un lavoro che non sia intellettuale.
  • Soltanto perché le ho raccontato qualcosa sul mito di Antigone?
  • Non solo per quello. È tutto l’insieme che mi porta a pensare a lei come a una donna che esercita un mestiere d’intelletto.
  • Suona come un complimento.
  • No, non lo è. Me ne guarderei bene dal fargliene uno. In men che un attimo le darei l’impressione del pappagallo, o del provolone, come si dice a Roma.
  • Dà spesso questa impressione?
  • Me la sono cercata. Con lei bisogna stare molto attenti a quel che si dice. Non mi risparmia stoccate.
  • Come ha appena detto lei, proprio se le tira.

Il direttore riflette ancora. Sarà anche meschino, ma è abbastanza intelligente per fare le considerazioni più elementari. Egli non era abituato ad avere uno scambio con una donna così vivo ed energico. E questo lo invoglia a dare il meglio di sé per reggere il confronto.

  • Sa cosa mi stupisce di lei, oltre al suo fascino? – le dice all’improvviso.
  • Non aveva detto che non sarebbe incappato nell’errore di farmi un complimento?
  • Beh, avrà notato sicuramente la mia purezza. A lei non potrebbe sfuggire.
  • Lei, un puro?
  • Perché, no?
  • Per un milione di motivi che non è il caso di elencarle. Lei potrebbe essere lontano dalla purezza quanto Marte lo è dalla Terra.
  • E se si sbagliasse? Voglio farle sapere che mi sto comportando con lei come non mi capita con altre persone, ossia con molta franchezza, senza alcun tipo di maschera. Le dicevo, ciò che mi stupisce di lei è la sufficienza che usa nei miei confronti. Una cosa che mi piace, perché mi allontana da ciò che rappresento.
  • E, lei cosa pensa di rappresentare?
  • Un personaggio, indubbiamente popolare, molto conosciuto e anche apprezzato. A prescindere da quale quadro si faccia della mia persona, resta innegabile che io sia nella mente e nel giudizio delle persone. Cosa ne pensa?
  • Mi chiedo se lei abbia mai riflettuto sulla differenza che passa tra popolarità e successo.
  • Mi ha appena detto che lei pensa che io sia un uomo popolare, ma non di successo.
  • E crede che siamo in pochi a inquadrarla in quest’ottica? Personalmente, non cambierei il mio successo, rappresentato da cinque o dieci persone che mi conoscono e mi stimano, con la sua popolarità così vasta.
  • Ci va giù pesante, eh! In pratica, sarei una delle persone più disistimate della nazione? Onestamente, non percepisco tutta questa avversità nei miei confronti.

 

 

  • E dove dovrebbe percepirla? Nei ristoranti e nei locali che frequenta, alle sfilate di moda, o nelle feste di regime a cui partecipa?
  • Ce l’ha particolarmente con me?
  • Si figuri, avercela con lei è come prendersela con la mala sorte. Lei è una delle tante figurine di quest’Italia che ben rappresentano il peggio, raccontato alla luce del meglio a chi non ha affinità con la verità e la bellezza.
  • Più che offeso, sono divertito dalle sue invettive. Mi crede?
  • Certo che le credo. E questa è la sua disgrazia: non avere un residuo di coscienza per prendere una posizione contro se stesso.
  • Questa è fenomenale! Davvero, trovo che lei sia spettacolare.
  • Come vede, mi sta facendo un mucchio di complimenti. E solo perché le sto dicendo che lei è una cacca d’uomo.
  • La verità è che nulla di quello che lei mi riferisce mi offende, essendo molto preso dalla sua personalità. A proposito, ha evaso la mia domanda che le ho rivolto in precedenza. Insomma, il suo mestiere qual è?
  • Perché dà per scontato che io ne abbia uno. C’è una crisi del lavoro che fa paura. Ovunque, se non si ha un “protettore” si è tagliati fuori dal sistema produttivo. Siamo immersi in un sistema di selezione marcio e perverso che abbandona a loro stesse tanto le persone preparate che quelle che hanno uno specifico campo di competenza. Questo, lei, da direttore di un telegiornale nazionale lo saprà bene. Potrei essere una di quella miriade di persone, che in questo paese non hanno un lavoro.
  • Lei è una disoccupata, oppure, adesso, è nelle vesti di Antigone?
  • Cosa cambierebbe? Non è forse vero che nel paese ci sia tanta di quella miseria di cui l’informazione ignobilmente tace? La prego, mi risparmi la sua risposta in merito. Non sopporterei nessuna confutazione su questo tema, in special modo sotto forma di scemenza esemplare.
  • Lei dal fioretto è passata alla sciabola. Non offende più con finezza, ora.
  • Senta, per quanto mi riguarda lei meriterebbe di essere preso ripetutamente a calci in culo per come interpreta il suo schifosissimo mestiere di giullare, altro che fioretto! E, adesso, mi scusi, cambio posto, visto che ce n’è più di qualcuno libero davanti. Non potrei sopportare oltremodo la sua vicinanza. Le auguro di vivere l’ansia di chi non riesce a provvedere per la propria famiglia, di chi si dispera per il proprio disagio, di chi, pur con una laurea in tasca si sottopone a lavori umili e usuranti per poter sopravvivere. Come ultima delle donne, le dico che lei vale più o meno quanto l’abito che indossa. Spero per lei, che lo abbia pagato molto.

Il direttore resta allibito. Stenta a credere a un epilogo del genere. Si chiede cosa abbia provocato in lei una tale reazione. Dove, in quale punto, lui abbia stimolato la sua rabbia. Cade nell’afflizione. Era più che contento di aver conosciuto una donna di grande charme e mai avrebbe creduto di farle ribrezzo. Al contrario, aveva finanche incominciato a nutrire qualche speranza… Per tutto il tempo che resta del volo non fa altro che scervellarsi sui motivi della scenata finale di Antigone. L’ultima immagine che ha di lei la ritrae all’uscita della Malpensa: stava salendo su un taxi, con movenze eleganti e sobrie, come una diva d’altri tempi.

 

Diversi giorni dopo, il ricordo di Antigone era ancora intenso. Il direttore pensava continuamente a lei, alla sua bellezza, alla sua intelligenza e alla rabbia rovesciatagli addosso. Quella donna, per molti versi, lo aveva sconvolto. La conseguenza più immediata del suo incontro era una insoddisfazione di fondo che, improvvisamente, avvertiva in maniera lacerante. Antigone, nei pochi attimi in cui l’ha conosciuta, aveva disinnescato il meccanismo del suo cinismo, costringendolo alla riflessione seria sulla sua persona.

Sta pranzando da solo, il direttore, in un ristorante nei pressi del Duomo, quando accade l’impensabile. Mentre è assorto in pensieri vaghi sulla sua esistenza, gli arriva un profumo e una voce che gli fanno alzare lo sguardo dal tavolo.

  • Buongiorno signor Sanmarzano, come va?

Avvolta in un vezzoso cappottino giallo da cui usciva un foulard a fantasia, una donna snella, di media altezza, con il volto radioso e sorridente, sta in piedi di fronte a lui: Antigone, la donna del volo Napoli-Milano. Le petit homme resta stupito, ammutolito, e solo dopo qualche istante riesce a dire:

  • Buongiorno! Che piacere rivederla. Si accomodi, prego. Mangi qualcosa con me.
  • Mi siedo per un caffè, grazie. Trovarla è stato più difficile di quanto pensassi. Le informazioni che ho sul suo conto mi hanno portata da tutt’altra parte. In ultimo, ho seguito una traccia che mi ha portata qui, finalmente alla meta. Accidenti, quanti ristoranti frequenta! Sono stata in ben cinque posti, prima di questo, e tutti ben distanti l’uno dall’altro.
  • Lei, ha preso informazioni su di me?
  • Sì, per l’esattezza me le hanno consegnate.
  • Chi, se posso chiederglielo?
  • Mi dispiace non le è dato saperlo.
  • E, perché mi ha cercato?
  • Per vederla, naturalmente.
  • Ne sono contento. Pensavo che lei mi odiasse, che mai avrebbe pensato di incontrarmi di nuovo.
  • Dovevo necessariamente rivederla. Sono abituata a portare a termine i miei propositi. – dice Antigone con una tonalità calda e seducente.

Il direttore resta disorientato, Non riesce a farsi un’idea precisa della persona che ha di fronte. Il suo atteggiamento gentile, sensuale e dolce lo scombussola. Ma, allo stesso tempo lo mette in guardia, ed era ora, da qualcosa che non saprebbe definire. Non sarà mica una psicopatica, che ha reazioni improvvise e nervose? Mentre fa questo pensiero, la osserva, sorridendo appena. Nota che gli occhi della donna sono lucidi e abissali. E, se per chissà quale motivo le piacessi? Se la reazione rabbiosa avuta in aereo non fosse stata altro che la ripercussione di un risentimento verso uomo che, in fondo, ammira? – riesce a pensare il tronfio corteggiatore.

– Io, rientro in suo proposito? – le chiede.

– Ci rientra in pieno.

Il direttore ha un altro momento di confusione. Si chiede cosa voglia, questa donna, da lui. Possibile che abbia intenzione di sedurlo? E, se sì, per il piacere di farlo, o per ottenere qualcosa in cambio? Diventa più accorto e realizza che ogni volta che si perde in queste riflessioni lei lo fissa divertita, con occhi ammalianti che le conferiscono un aspetto irresistibile, ma anche ferocemente ironico. Chi sarà mai, costei? – comincia a chiedersi con un’ombra di preoccupazione, il direttore.

  • Lei vive a Milano?
  • La mia famiglia è milanese, ma io vivo in Grecia da molti anni.
  • Forse, ho capito di cosa si occupa lei: è un’archeologa.
  • Lei fa associazioni troppo facili e, per questo, sbagliate. Se le racconto qualcosa sulla mitologia mi prende per una professoressa, poiché le viene in mente il nozionismo, o qualcosa del genere; se invece le rivelo che vivo in Grecia mi trasforma in un’archeologa, poiché pensa alle antiche rovine.
  • È vero, sono uno sciocco.
  • Gli uomini, spesso, si sentono infallibili, mentre in realtà sono molto vulnerabili, anche se si ritrovano a gestire un potere e godono di popolarità. – gli dice con commiserazione.

Il direttore non resiste più alla tentazione di sapere chi realmente sia la donna con cui sta parlando e in modo diretto le domanda:

  • Mi dice, per favore, lei chi è e cosa fa nella vita?
  • Sono Antigone, e faccio l’eroina.
  • Non scherzi, ho bisogno di saperlo. Lei mi appare come avvolta dal mistero e io non so rapportarmi nei suoi confronti.
  • Si comporti come meglio crede, facendo ricorso alla suo giudizio. D’ora in poi avrà bisogno di apparirmi al meglio delle sue possibilità se vorrà evitare il peggio.
  • Non capisco, cosa vuole dire?
  • Senta, signor Sanmarzano, io vorrei parlare con lei per ore, forse anche per giorni, per farle capire perché una come me si mette in cerca di uno come lei, ma temo di non avere tempo a disposizione. Sa, ho molti impegni. Seguo da molto tempo e in maniera assidua il suo lavoro giornalistico, attenta a non farmi sfuggire niente. L’ho studiata nei minimi particolari, in ogni sfumatura del suo modo, molto personale, di dare e commentare le notizie. Mi sono fatta del suo lavoro un’idea ben precisa. Vorrei essere oltremodo sicura che l’opinione che ho di lei non risulti imperfetta e non presenti un difetto di valutazione. Ecco, perché le chiedo, gentilmente, di concedermi un po’ del suo tempo e rispondere alle mie domande.

Il direttore non riesce a comprendere quali possano essere le sue reali intenzioni, al di là di un confronto di idee sulle concezioni e sul modo di fare comunicazione. Desideroso, tuttavia, di stare ancora insieme a lei, si rende disponibile e la invita a fare le sue domande:

  • Mi dica pure, è un piacere per me soddisfare qualche sua curiosità sul mio conto.

Antigone lo guarda con un’espressione sempre più affabile, dolce e quasi docile, come a ringraziarlo per averle concesso il suo tempo.

  • Egregio direttore, perché nel panorama generale dell’informazione, tranne qualche sporadica eccezione, più nessuno racconta il paese reale?

 

 

  • Il concetto di realtà, talvolta diventa opinabile. A mio modo, per esempio, ritengo di raccontare alla gente cose che non fuoriescono dalla realtà. – risponde con sicurezza l’uomo che incarna e omaggia il potere fine a se stesso.
  • Veda, io ho sempre pensato, invece, che la realtà fosse una sola, opinabile nei limiti del buon senso della ragione, non a dismisura, sollevando baccano per mistificare e muoversi a convenienza nell’ambiguità, come fanno i giornalisti come lei.
  • L’informazione, da sempre, interpreta la realtà come meglio crede. Se lei non ha una buona concezione del giornalismo italiano vuol dire che lo segue in maniera prevenuta.
  • In verità, credo di avere davanti a me l’esempio di deformazione professionale più eclatante della nazione. Lei è un campione nell’arte della contraffazione, arginando e censurando le notizie. Lei garantisce, come direttore di un telegiornale, che la politica e l’informazione diventino campi coincidenti e sovrapponibili, affinché la loro legittimazione non venga messa in discussione, stringendo un patto tacito di sopravvivenza, a scapito dei cittadini e dei consumatori di notizie, che avrebbero diritto a un’informazione leale e imparziale. Sono sempre gli interessi personali e dei clan a farla da padrone. E, lei serve un potere di siffatta maniera. Ora, mi dica signor Sanmarzano, non le pare che lei, col suo miserabile mestiere perpetui il male, diffondendo consapevolmente un’informazione ingannevole e alterata per fini di propaganda, favorendo un regime politico che relega nella disperazione chiunque non lo prediliga e vi aderisca?
  • Lei, per caso, si trova in una situazione disperata per causa mia? – ribatte, seccato, il direttore.
  • Io, personalmente, no. Ma, migliaia di famiglie sono interessate da situazioni di stento a causa di uomini immorali che non assolvono al loro compito di governanti, protetti da un giornalismo corrotto e subdolo. Trova giusto essere al servizio di gentaglia e truffare, quotidianamente, chi, magari anche per caso, si trova a seguire il suo tg?
  • Questa è un’opinione che ovviamente non condivido. Chi non vuole ascoltarmi, poi, può sempre cambiare canale. Non ho nulla da estorcere ai telespettatori, ho sempre dato loro solo notizie.
  • Mi scusi, ma non crede che dare in pasto a una platea informazioni tendenziose col solo scopo di coprire le azioni illecite del governo sia una truffa perpetrata a suo danno?
  • Non condivido affatto. – ribadisce con forza il direttore.
  • La prego, signor Sanmarzano, non sia misero. Ho fatto un viaggio abbastanza impegnativo per venirla a cercare, sottraendo tempo ad altri propositi. Sono una persona solitamente mite, ma divento nervosa quando il mio interlocutore si rifugia nella banalità, o si altera, sia pure in maniera contenuta. Trovo aberrante che il servizio pubblico si attrezzi di un telegiornale come il suo. Veda, direttore, quando scorgo un’ingiustizia compiuta ai danni del popolo, che mi dà particolarmente modo di pensare, mi reco dalla persona che se ne rende colpevole, chiedendogliene conto. Fino a prova contraria, lei, supportando gli abusi che alimentano il potere da cui dipende e da cui riceve gli incentivi per svolgere la sua vita agiatissima, commette una di quelle ingiustizie che richiedono, appunto, il mio intervento. Le chiedo di avere ancora un po’ di pazienza e rispondere a un’altra domanda: quando lei manda in onda il falso e schifosissimo teatro del suo tg pensa mai a quei genitori che non potranno comprare lo zainetto richiesto dal figlio, a quei padri che si dannano l’anima per portare qualche soldo a casa, a quelle madri che si sacrificano oltre ogni limite per rassicurare la serenità dei loro figli?

Il direttore, a questo punto, decide di reagire con calma a un clima che va facendosi da inquisizione:

  • Con questo tipo di discussione, lei non vuole diventare mia amica, ma il mio giudice morale.
  • Ha quasi indovinato. Non voglio credere che lei sia tanto stupido da aver pensato che volessi diventare una sua amica e finanche una sua amante. Sono qui, molto vicino a lei, non per essere il suo giudice, ma il suo giustiziere. Resti calmo e, soprattutto, fermo, altrimenti il nostro dialogo finirà qui, insieme alla sua esistenza.

Il direttore è letteralmente scioccato. Ora avverte paura, una fottuta paura. Atterrisce quando lei estrae dalla tasca del cappotto un revolver. Col braccio teso sotto il tavolo, punta l’arma contro di lui.

  • Non si faccia strane idee sul mio conto. Non appartengo a nessuna formazione terroristica. Odio il terrorismo, porta solo dolore e morte. Credo, invece, nelle iniziative portate avanti attraverso l’amore, la passione il pensiero. Avrei potuto ucciderla ieri sera, quando è rincasato a ora tarda. Sì, sono giorni che la tengo sotto mira. Ma, ho voluto darle una possibilità. Voglio vedere fino in fondo di quale pasta è fatto. Pertanto, stia attento a come risponde ai miei interrogativi. La sua vita potrebbe dipendere da ciò che dice. Gentilmente, risponda a questa domanda: non crede che il suo padrone, assecondato dalle servette settecentesche, come lei, sia riuscito a rendere normale un linguaggio strutturalmente volgare, fatto di contenuti che sono l’opposto della solidarietà, della fratellanza, della pietà?
  • Cara signora, il mio padrone, come dice lei, usa un linguaggio che gli è proprio. Se viene preso a modello è segno che riesce a esercitare un minimo di carisma presso chi si lascia facilmente attrarre dai suoi contenuti.
  • E mi dica, direttore, non le rimorde la coscienza osannare pubblicamente un simile modello negativo di comportamento? Come può costantemente santificare chi commette nefandezze? Lei contribuisce a imbruttire la vita quanto uno spacciatore. La droga è sciagurata menzogna, come il suo giornalismo.
  • Gentile signora, mi perdoni, ma non trovo logico, da parte sua, fare certi paragoni. Io non sono un mascalzone. Se lei volesse uccidermi, dandomi colpe che non mi assumo, commetterebbe comunque un gesto violento e non di amore. Metta giù quell’arma. Le prometto che non la querelerò.
  • Le sembra mai possibile che una volta fatta tanta strada e fatica per incontrarla, mi lasci convincere a rinunciare al mio intento?
  • Benedetta signora, lei si metterà in un guaio serio. Deponga la sua arma, si metta l’animo in pace, e parleremo per tutto il tempo che lei desidera.
  • Lei è molto più stupido di quanto si possa pensare. Basterebbe questo per ucciderla. Crede davvero che io desideri parlare con lei per il semplice piacere di farlo? Sto conversando con lei, ponendole delle domande, soltanto per ascoltare le ultime parole scialbe e impaurite di un uomo che cerca, goffamente, di scampare al destino che lo attende. Lei non è in grado di offrirmi un motivo per farle salva la vita.
  • Rifletta, sant’Iddio! Cosa guadagnerebbe da questo omicidio? Vale veramente la pena uccidere una persona per così futili motivi, facendosi chissà quanti anni di carcere?

 

  • Non sono mai andata in galera, signor Sanmarzano. E, non credo ci andrò mai. Sono incensurata, pur avendo regolato, per così dire, altre faccende come questa. Sono piuttosto brava nel mio lavoro, e di solito prendo molte precauzioni. Il mio gingillo è dotato di un silenziatore molto sofisticato. Nessuno si accorgerà di niente quando le avrò sparato. Quando la scopriranno, priva della sua insignificante vita, io mi sarò già dileguata. La polizia cercherà una donna bruna, che nel frattempo ha indossato una parrucca bionda e rivoltato il suo cappottino double face, che da giallo è diventato nero.

 

  • Ma, lei chi è? La supplico, non commetta un omicidio insensato!

 

  • Si calmi e non alzi la voce! Sappia che se anche lei gridasse, o cercasse di fuggire, riuscirei comunque a ucciderla. Alzi ancora una volta il tono e si troverà all’inferno.

 

  • Non posso credere che lei sia una killer professionista. La scongiuro, mi dica che non è vero e che lei non ha nessuna intenzione di spararmi.

 

  • Molta gente che non apprezza il suo lavoro la trova meschino. Io, credo che lei sia soprattutto ridicolo, come in questo momento. Risponda a quest’altra domanda, prego: pensa che il suo padrone sia più preoccupato a risolvere i bisogni reali di tanta gente per toglierla da un snervante preoccupazione, o più pronto a soddisfare le richieste dei suoi amici più stretti per garantire loro una maggiore ricchezza e agiatezza?

 

  • Cosa vuole che le risponda? Ogni capo di governo ha i propri limiti. Per il resto, mi creda, ho sempre avuto stima per le persone che, come lei, credono in una giusta causa. Si convinca che io non rappresento il male da sopprimere.

 

  • Oh, lo so bene! Lei è soltanto una minuscola parte del male da cancellare, poiché piccolissima è la sua persona.

 

  • Signora, lei si sta mettendo in un grosso guaio. La prego ancora una volta di porre fine al suo gioco pericoloso.

 

  • Dica la verità, se lei potesse mi denuncerebbe immediatamente, vero?

 

  • Non la denuncerei.

 

  • Abituato a mentire per mestiere e necessità, ora mente per paura, in procinto di farsela addosso. Lei non fa altro che mentire perché non ha coraggio. In qualsiasi tribù barbara lei sarebbe stato ripudiato e considerato un rifiuto, perché inetto, non idoneo per essere considerato un uomo. Già, ma lei pensa che i barbari siano stati popoli incivili, vero? Non si guardi intorno per cercare aiuto! Se solo prova a muoversi da quella sedia le scarico addosso tutti i colpi del revolver.

 

  • Rifletta, la prego. Lei è abbastanza ragionevole per non commettere sciocchezze.

 

  • Concordo, ragiono abbastanza. Se non avessi ben ragionato e riflettuto convenientemente non sarei venuta a cercarla per impedirle di continuare a svolgere il suo sporco lavoro.

 

Et voilà, la misteriosa signora che si è data il nome di Antigone, solleva il braccio da sotto al tavolo e punta il revolver contro il direttore, in pieno viso. Sta per sparare quando, l’uomo di cacca, terrorizzato, emette un grido di paura di fronte a una morte ormai prossima ad arrivare. La donna preme il grilletto, e dalla breve canna dell’arma esce un sottile fiotto d’acqua che inonda il volto pallido, atterrito, terrorizzato del direttore. La donna gli scarica addosso tutto il serbatoio.

- 17/01/2023

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