Claudia e Francesco condividono molto più rispetto al fatto di essere entrambi alunni del locale Liceo Classico Tito Livio di Martina Franca, paese a vocazione principalmente rurale a confine tra le province di Taranto e Brindisi. Sono figli di Enrico ed Elisa, prigionieri entrambi in due matrimoni senza mordente contratti per comodità cedendo alla pressione esercitata dal vivere in un piccolo paese del meridione in cui appartenenza sociale e censo contano ancora nella scelta del partner ideale. Il padre di Claudia, Enrico, è uno stimato primario ospedaliero; la madre di Francesco, Elisa, un’infermiera che lavora con lui a stretto contatto e che poco a poco se ne innamora intrecciando una relazione extraconiugale per lei liberatoria ma non risolutiva che durerà fino alla scomparsa dell’uomo. Il primo approccio di Claudia verso Francesco è intriso di rabbia e dolore: due sentimenti che la ragazza accantonerà quando si renderà conto che Francesco è vittima della situazione tanto quanto lei finendo col diventare sua migliore amica oltre che oggetto segreto del desiderio di lui, impastoiato in una dimensione sessuale molteplice che il lettore riesce a inquadrare presto ma che lui, da co-protagonista della storia, non ha voglia di definire per pigrizia o semplicemente perché è molto più prigioniero di cliché di provincia della sua acuta compagna di viaggio. La trama si dipana tra ambientazioni collocate in un Sud arcaico e prezioso, spesso sottovalutato anche dai suoi stessi abitanti, le città universitarie di Milano e di Bari e la policroma Berlino col suo diktat culturale di caratura internazionale che tanta presa ha sempre avuto su chiunque, artisti o semplicemente persone alla ricerca di un’identità condivisibile e maggiormente congeniale, per poi concludersi nuovamente a Martina Franca in un cerchio perfetto in cui ciascuno dei personaggi, principali e secondari, trova una dimensione esistenziale ad hoc nel flusso incessante della vita. “Spatriati” deve il suo titolo all’illuminante definizione nelle Note dello scrittoio o stanza degli spiriti a fine romanzo di Mario Desiati ed è “ (…) participio passato del verbo spatriare, che sta per andar via o, come dice la Treccani, cacciare dalla patria. In alcuni dialetti meridionali tra cui il martinese, ha altre sfumature, come incerto, disorientato, ramingo, stordito, senza arte né parte, in alcuni casi perfino orfano: patria deriva dal latino e significa terra dei padri, dunque lo spatriato può anche essere chi è rimasto senza padre, o chi non lo ha mai avuto”.
In questa sottolineatura dell’autore c’è tutta l’essenza di una lettura a tratti spiazzante, per certi versi cruda o forse per qualcuno sovrabbondante e gratuita di un libro che non ha ricette da fornire ma lascia a ciascuno la possibilità di arrivare in piena libertà alle conclusioni tracciando un percorso puntuale degli ultimi decenni di una gioventù millennial con una spiccata attitudine alla libertà e all’autonomia, capace di emanciparsi soltanto in parte e a fatica dalle scelte e colpe dei padri. Un perdersi e ritrovarsi marcato da una ciclicità che afferma il valore portante di radici e ali senza per questo scadere nella retorica e nella banalità.
Lucia Guida
Mario Desiati, Spatriati, ISBN 9788806247416, € 20,00