Due recenti pubblicazioni di canto da camera ripropongo una riflessione sulla tradizione della “canzone” in Europa: Schubert, Glaube, Hoffnung, Liebe – fede, speranza, amore – Samuel Hasselhorn, baritono, Joseph Middleton, pianoforte, harmonia mundi, € 17,99, 1 cd; Fauré. Complete Songs, Cyrille Dubois, tenore, Tristan Raës, pianoforte, che scrivono anche le interessanti note illustrative del booklet, Palazzetto Bru Zane e Label Aparté, 3 cd, € 26,00).
E cominciamo da un’analisi terminologica. Solo in italiano la parola “canzone” ha finito con assumere una connotazione di genere musicale minore, d’intrattenimento, tanto che la SIAE paga molto meno una canzone che un Lied, anche se in italiano! Nelle altre lingue europee canzone (song, Lied, chanson, canción) designa indifferentemente un composizione di musica “colta” che una d’intrattenimento. La differenza linguistica denota anche una differenza di percezione. In italiano la differenza di genere diventa una differenza di valore – e non soltanto in musica! – mentre nelle altre lingue è una canzone tanto una composizione di Schubert che una canzone dei Beatles. La differenza terminologica deriva da una differenza di tradizione storica. Il canto, per gli italiani, o è il canto del melodramma, o la canzone d’intrattenimento. Da qui, anche, il fatto che sono pochissime le canzoni o romanze da camera composte da Bellini, Donizetti, Verdi che dimentichino l’impostazione melodrammatica (un caso a parte è Rossini). Un’eccezione sembra Francesco Paolo Tosti, ma non a caso è apprezzato più in Inghilterra che in Italia, dove certo è seguito e diffuso, ma come genere minore. La gloriosa tradizione rinascimentale del madrigale, della villanella, sembra dimenticata. Un caso a parte è la canzone napoletana. Non è così nel resto di Europa, nemmeno in Spagna e nell’America Latina. Francia e Germania, però, e vi dovremmo forse aggiungere la Russia (Čajkovskij presenta addirittura sulla scena salotti borghesi nei quali alcuni personaggi cantano una melodija), hanno sviluppato più che altrove questo tipo di canto confidenziale, intimo, e approfondito in maniera straordinaria il rapporto del canto con la parola, spesso attingendo ai versi di grandissimi poeti. Solo appunto la grande fioritura dei madrigali rinascimentali o della chanson parigina presenta, tre secoli prima, qualcosa di analogo. Il ventaglio è amplissimo. Dall’attenzione schumanniana e debussiana al suono stesso della parola all’inesauribile invenzione melodica di Schubert, Berlioz, Brahms, Fauré. Queste due pubblicazioni ci offrono un’antologia di 14 tra i più famosi e belli dei numerosissimi Lieder di Schubert e la raccolta completa delle chansons o mélodies di Gabriel Fauré. Indicativo che la copertina del cd dedicato a Fauré, adottando la ormai nuova koiné linguistica del mondo, l’inglese, le chiami songs. E si badi: si tratta di una pubblicazione francese. Gli ultrapuristi nostrani, inorriditi dall’”invasione” dei barbarismi anglofoni – come forse sono inorriditi anche da altri tipi di “invasione” – sono avvertiti: nessun cedimento a nessun imperialismo linguistico, ma solo l’accettazione del dato di fatto. Un tempo erano il greco, il latino, e per tre secoli, dal 500 al 700, perfino l’italiano, oggi è l’inglese. Dove sta il problema? Bella questa lezione di rispetto della storia da parte di un popolo che gli italiani tacciano invece di sciovinista. Ma superate, anzi evitate le polemiche, godiamoci questi splendidi cd. Hasselhorn e Middleton sono delicatissimi nell’inseguire tutte le infinite sfumature espressive del canto schubertiano: e sentite come canta anche il pianoforte. Ma Dubois e Raës non sono da meno nel rispettare la delicatezza delle atmosfere musicali di Fauré, un compositore pudico e quasi reticente, che affida l’espsressione più alla sfumatura, alla nuance del suo amato Verlaine, al suggerimento simbolista dell’intenso van Lerberghe (la Chanson d’Eve tocca il sublime), che all’esplosione dell’enfasi. Gli altri poeti sono Baudelaire, Gauthier, Silvestre. Un’introduzione indimenticabile al Novecento più visionario.