Ieri è morta la poetessa Biancamaria Frabotta. Era nata a Roma nel 1946. Non possiamo dire che ci abbia lasciati: ci resta la sua poesia, e la sua voce, tra le più alte del secondo novecento italiano, la riudremo dai suoi versi. Ma il mondo si fa più vuoto, alla morte di un poeta. Allora, cerchiamo di riempirlo, questo vuoto. Ci provo, nel mio piccolo, rileggendo una sua poesia, dedicata al marito amatissimo, Brunello Tirozzi, Fisico matematico alla Sapienza di Roma, e anche lui poeta.
Cose chiare
Mio marito ha un cuore generoso
come il dio che dona il primo verso.
La notte non tira le coperte
sul petto non pungono i suoi peli
e la mattina vorrebbe unirsi al coro
anonimo che sole e fame assilla.
Mio marito diffida delle ore scure
e al suo cospetto io mi vergogno e anche
di vergognarmi mi vergogno.
Mio marito diffida delle cose oscure.
Così per amor suo io cambierò stile
e per lui terrò in serbo cose chiare.
Da Terra contigua, 1999
E – si parva licet – aggiungo la mia voce di commiato. Ma per continuare a ricordarla.
A Biancamaria, in memoriam
Non ci siamo incontrati che per sprazzi
fuggevoli del caso, in qualche casa
di poeta – ricorderai, può darsi,
la Via dei Pettinari, dietro Campo
de’ Fiori, le modeste sere, i musi
vivaci di Roberto, da Ferrara,
di Renzo e del padrone Dario , sempre
più scuro, e zazzeruto, di Maurizio,
di Glauco, e del salernitano Elio –
là c’ero anch’io, chi sa se lo ricordi.
Fu Dario il primo, a toglierci la voce.
Poeta triste, “maledetto”, che la vita
l’amava più di ogni altra cosa. Come
ciascuno di noi altri, questa vita
che sembra invece ormai sfogliarsi spenta
tra le dita. Quasi un furore astrale
c’impedisse di coglierne il respiro,
e stiamo qua, con gli occhi inumiditi,
a salutare il canto che saluta:
il tuo, quest’oggi, che noi non avremmo
voluto salutare. Ci bastava
acclamarlo, ci riscaldava il cuore.
Fiano Romano, 3 maggio 2022