Lei è una donna in fuga, vuole lasciarsi alle spalle una vita e cerca un luogo speciale in cui ritrovare se stessa, un luogo che possa ridarle forza nel ricostruirsi: torna alla vecchia baita in montagna, quella della sua infanzia, un rifugio lontano da tutti che lei sceglie per vivere in una dimensione completamente nuova. E la montagna intorno con le sue intemperanze, le regole dettate dalla Natura, i tempi dell’istinto animale che la popola, i percorsi tra gli alberi e le leggi non più umane da rispettare, le sarà di sostegno, le sarà compagna e persino amica nei momenti di paura e di profonda solitudine. Una storia affascinante. Una storia immensa ed intima, in cui la protagonista si racconta, passo dopo passo, nel suo percorso difficile e personalissimo. Una storia particolare, narrata con delicatissima sensibilità e con assoluta conoscenza dell’animo femminile, dei suoi inciampi, delle sue ferite e della sua innata forza, sprigionata attraverso una dolcezza senza eguali. E di dolcezza sono intense le pagine. E di inquadrature mozzafiato, piccoli fotogrammi di un film senza sonoro, in cui le voci della Natura si intrecciano ai pensieri della protagonista che dalla Natura, appunto, impara a lasciarsi andare, ad arrendersi agli eventi senza opporsi. Così come vede fare agli animali, ai fiori, al più piccolo essere che le vive intorno; al vento, alle tempeste che sconvolgono i boschi, al bocciolo testardo che sfida il ghiaccio più gelido per sbucare alla luce del sole. Lei è una donna che si attraversa, chiedendo la vita alla vita intorno a sé, a quella elementare degli eventi naturali per sentirsi, di nuovo, parte di un tutto e conquistare un equilibrio, una nuova se stessa. Le sono accanto personaggi satelliti che le diverranno amici e la guideranno nel suo viaggio interiore. Personaggi senza un nome proprio come la Rossa, titolare della locanda in paese che la accoglie in confidenze e abbracci nuovi; la Guaritrice, esperta di erbe mediche e ‘sorella’ di notti da cullare e scodelle calde per nutrirsi; l’uomo dal giaccone rosso, detto lo Straniero, con cui impara a respirare l’amore e l’urgenza di dare alla Montagna semi nuovi, forza ed alberi giovani per il suo domani; la Benefattrice, moglie del fattore, che le riempie lo zaino di roba da mangiare e si prende cura delle sue sere smarrite; e, infine, il Cane, inseparabile sostegno, cuscino da stringere e compagno di giochi per tornare bambina. A loro un nome non serve: ciò che conta è quello che ognuno riesce ad essere per lei, quello che può donarle in segno di conforto, di sostegno e di rinascita. Il libro arriva dentro con forza travolgente, sa scuotere, commuovere, avvince, fa sorridere e ci trascina nella struggente bellezza di un mondo che sa regalare luce all’anima. E sa donare la luce della fede, di una fede laica, fuori dai banchi delle chiese ma vicina al cielo più che mai, in una croce grezza sulla cima del Monte, sotto la quale piantare lodi, promesse e ringraziamenti da far scivolare fino a valle. La donna degli alberi ama ciò che è diventata, ciò che di sé è riuscita a salvare, quello che per sé è riuscita a conquistare. La scrittura del romanzo è ricca, pacata, semplice, poetica, musicale, colorata, silenziosa, elegante. È una sinfonia di sensazioni, di attese, di paure, di ricordi, di segreti, di promesse. È vento che soffia, è burrasca, è un ululato lontano, è il muggito di un pascolo, è neve ovattata, è il fresco di un lago d’estate. Ogni pagina è più bella della precedente, ogni pagina si lascia abitare, diventa casa, ricordo, scoperta, rimpianto, odore di resina. Ogni pagina corre verso l’altra, in un susseguirsi di entusiasmo e di nuova ricchezza. Così, fino all’ultima riga. Lorenzo Marone ci ha regalato uno dei libri più belli degli ultimi tempi. Direi un capolavoro, per il quale non ci resta altro che dirgli ‘grazie’.