Si torna per comprendere, ritrovare, ritrovarsi. Si torna per tornare a somigliare, per riprendersi un colore, il senso di un dolore, un desiderio dimenticato. Si torna per spegnere le ombre senza sole o riaccendere il buio di un sogno, di un ricordo che chiede ancora il giorno, che vuole parole ma non sa dirne. Si cerca nelle tasche una mollica indurita, uno scampolo di carta d’inchiostro sbiadito, si guarda attraverso vetri stinti, polverosi di strade senza più chi c’era prima. Si torna quando manca il pane che si spezza con le mani, che si inzuppa nei piatti di creta sbeccati e si bagna nell’acqua e pomodoro anche quando è duro. Non ci si abitua ad un nome straniero, ad una minestra insipida, al caldo di una casa senza il fuoco sfrigolante di restuccia o l’odore bruciacchiato di resina mielosa. Si torna per non poterne più o non saperne fare a meno, per innaffiare piante spinose dai frutti di polpa fresca e rubare fiori di pesco da rallegrare casa, per sferruzzare sotto un pergolato a settembre e pestare l’uva nella festa della vendemmia. Per un Natale di fritti dorati e un’estate distesa di sabbia, per una piazza di bancarelle e musiche scalze, mandorle e caramello o cioccolato biscottato d’arancio. Si torna per dormire all’aperto e svegliarsi impastati di sale, sedersi sui gradini bianchi a tirare tardi la notte. Si torna a fiato corto e bocca asciutta di baci strappati, occhi bassi e l’erba tra i capelli, chiese a rintocchi e le voci dei carretti per strada. Si torna per asciugare il viso dalla nostalgia, per non partire ancora, si torna per restare. Perché fa casa e non abbiamo le chiavi. Non le abbiamo perse: non le abbiamo mai avute o non le abbiamo mai sapute dimenticare.